sabato 13 febbraio 2021

Armonia (Lezione 2): La scala diatonica maggiore


La distanza che intercorre fra due suoni di diversa altezza è detta intervallo: quando due suoni sono emessi contemporaneamente, l'intervallo è detto armonico; quando i due suoni sono emessi in successione, l'intervallo si dice melodico.


Nell'armonia tonale, l'unità di misura dell'intervallo è il tono (T). Suo sottomultiplo è il semitono (S), cioè la metà di un tono, l'intervallo più piccolo del nostro sistema armonico.


Una melodia è composta da una successione di toni, semitoni ed altri intervalli più grandi, a seconda del gusto del compositore. Il moto melodico si dice per grado congiunto, quando le note si susseguono entro un intervallo non superiore a una seconda (es. DO-RE).


Si dice invece per grado disgiunto quando i suoni si susseguono saltando per intervalli più grandi di una seconda (es. SOL-MI).


Una successione melodica che sale o scende in una sola direzione per moto congiunto è comunemente detta scala. La scala che sta alla base dell'armonia tonale è la cosiddetta scala diatonica maggiore, che risponde a particolari caratteristiche.


Esiste una seconda scala diatonica, detta minore, che prende le mosse da quella maggiore, ma che vedremo meglio in seguito.


Come già anticipato nella Lezione 1, la nota fondamentale di un sistema di armonici può a sua volta essere armonico di un altro sistema: avevamo così isolato, attorno ad una fondamentale DO, altre due note ad essa strettamente legate, il SOL e il FA. Il DO del nostro esempio diviene infatti il punto di convergenza di tutte le spinte centrifughe comuni ai tre sistemi. La scala quindi nasce dalla commistione di questi tre sistemi e dal "riordino" dei suoni armonici secondo la tipica sequenza scalare che tutti conosciamo. 


Questa sequenza si caratterizza per una particolare disposizione dei toni e dei semitoni al suo interno ed è da essa che scaturisce quell'equilibrio interno che ci fa percepire la scala come un insieme ordinato di suoni. Tale sequenza è la seguente: T T S T T T S.


Se al posto del DO, come nell'esempio, facessimo partire la scala dal RE, la sequenza dei toni e dei semitoni risulterebbe sfalsata: T S T T T S T.


Pertanto, pur essendo nota di partenza, questo RE non è in grado di porsi come centro tonale forte, così come accade invece per il DO. Questo perché il rapporto fra i vari suoni della scala non rispetta gli equilibri assicurati invece dalla sequenza T T S T T T S. Ne consegue che, per ristabilire questi equilibri, sarà necessario "aggiustare" alcune note, applicandovi delle alterazioni. Esse si intervengono qualora fra una nota della scala e l'altra non intercorra l'intervallo che dovrebbe invece esserci in quel determinato punto. 

Secondo lo schema, dunque, fra la prima e la seconda nota deve intercorrere un tono. Con il RE come nota di partenza, notiamo che fra essa e il MI questa distanza è rispettata. Ne consegue che in questo punto non vanno applicate alterazioni.


Anche fra la seconda e la terza dovrebbe esserci un tono intero: invece, notiamo subito che fra MI e FA c'è solo un semitono. 


Siamo dunque in difetto di un ulteriore semitono che sommato al primo dia un tono. Ed è proprio qui che interviene l'alterazione, allargando il divario fra le due note. Non potendo agire sul MI, in quanto già in rapporto di un tono con il RE sottostante, sarà necessario intervenire sul FA, che verrà alzato di un semitono con l'aggiunta di un (diesis).


Il FA cesserà quindi di essere tale e prenderà il nome di FA diesis, dato che si tratta di una vera e propria altra nota.

Questo procedimento si ripeterà anche per tutte le note successive, intervenendo a correggere tutti quegli intervalli che non dovessero risultare conformi alla sequenza della scala maggiore. Nello specifico di RE maggiore, un'altra nota, oltre al FA, necessita di essere modificata: il DO, che alterato diventa DO diesis.


Di seguito, la scala di RE maggiore corretta:


Se prendessimo invece ad esempio una scala che parta dal FA senza alterazioni, la sequenza non corretta risulterebbe: T T T S T T S. 


In questo caso, l'alterazione andrà applicata sul SI, in quanto fra esso e il LA sottostante intercorre un tono e non il semitono che invece dovrebbe esserci.


In questo caso, siamo dunque in eccesso di un semitono, che verrà sottratto abbassando il SI con l'aggiunta di un (bemolle). 


Di seguito, la scala di FA maggiore corretta:


In conclusione, le scale possono avere sequenze di note differenti (DO maggiore: do, re, mi, fa, sol, la, si, do; RE maggiore: re, mi, fa, la, si do♯ etc...) ma la medesima struttura. Pertanto, come nell'algebra si usano le lettere per designare in termini generali qualsiasi numero, le note della scala vengono dette generalmente gradi. I gradi vengono contati con i numeri ordinali (primo grado, secondo grado, terzo grado etc...) e indicati con i numeri romani corrispondenti (I, II, III etc...). Il grado permette di parlare dei singoli componenti della scala indipendentemente dalla nota che riveste quel grado. Il I grado è quello che dà il nome anche alla scala: nel caso di DO maggiore, il I grado sarà dunque il DO, in RE maggiore il RE etc... Quella stessa nota, però, può anche comparire in altre scale come grado diverso dal I: nella scala di FA maggiore, per esempio, la nota DO compare come V grado. Ciò spiega la versatilità di utilizzare i gradi senza tutte le volte specificare di che nota si tratta, evitando confusione e permettendo così di parlare delle caratteristiche della scala in senso generale, dato che le sue dinamiche sono le medesime qualunque siano le note che la compongono. Inoltre, come vedremo meglio in seguito, ogni grado ha una sua funzione armonica ben definita e, in base ad essa, anche un suo nome preciso.

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