mercoledì 7 ottobre 2020

Origine e sviluppo del corale luterano


« Corale » è aggettivo sostantivato derivante dall'espressione « cantus choralis » e nella sua accezione primitiva - ma ancor oggi viva nella terminologia tedesca (Choral) - indica il canto omofono o monofonico, cioè una melodia da eseguire choraliter (più voci all'unisono, senza accompagnamento), durante il servizio liturgico della Chiesa Cattolica o di quella Riformata. Ne sono esempi più cospiqui, da una parte il Canto gregoriano in lingua latina, dall'altra quello luterano, il tedesco Kirchenlied, il cui repertorio comprendeva non solo brani espressamente composti o derivati da melodie gregoriane oppure profane (contrafacta), ma anche canti religiosi in lingua materna anteriori alla riforma (Katholische Kirchenlieder).

Nella corrente nomenclatura, non solo italiana, il termine « corale » viene tuttavia riferito più particolarmente al Kirchenlied protestante, ma nella sua « versione » polifonica: melodia utilizzata come cantus firmus in un contesto contrappuntistico variamente elaborato (corale-mottetto, in stile « figurato »), o - caso veramente « popolare » e tipico - armonizzata a quattro voci dispari procedenti in omoritmia, con testo in versi riuniti in strofe, che trovano adeguata corrispondenza nell'intonazione musicale (corale « semplice »).

[...] Il riferimento alla tecnica di comporre sul cantus firmus implica almeno un accenno alle sue vicende storiche: per questo bisogna rifarsi addirittura ai primi documenti della polifonia occidentale, cioè ai procedimenti organali codificati nell'adespoto trattato medioevale Musica enchiriadis, redatto nel IX secolo. Qui, appunto, è una melodia non inventata, ma desunta dal repertorio gregoriano (vox principalis) che viene contrappuntata « nota contro nota » [punctus contra punctum, da cui contrappunto] da una parte inferiore (vox organalis) a distanza costante o in maniera meno rigida.

Nei secoli seguenti, questo metodo compositivo si arricchisce di procedimenti più elaborati per quel che riguarda gli elementi di libera invenzione (possibilità di intreccio delle linee; svolgimento a melismi sempre più estesi). Resta comunque fermo l'impiego, come perno della costruzione contrappuntistica, d'una melodia tradizionale, la quale passerà  tuttavia alla parte inferiore dell'organismo sonoro, sì da configurarsi sempre più come tenor (dal latino tenere), cioè come parte che « tiene » a lungo le singole note del canto dato, isolandole una dall'altra sotto le ampie fioriture delle voci superiori.

Il principio di costruire un brano a più voci sul tenor permane anche nel mottetto dei secoli XIII-XIV [...]. Esso viene conservato pure presso i maestri franco-fiamminghi del XV secolo, i quali tuttavia non presentano sistematicamente il cantus firmus nella parte più grave dell'ordito polivoco, ma lo affidano anche alle voci superiori; si deve considerare, del resto, che nel frattempo l'ambito sonoro si è esteso anche al di sotto del tenor stesso, cioè ad una parte di contratenor bassus (bassus). Inoltre, il cantus firmus, anche variamente modificato nel suo aspetto melodico e ritmico, assume rilievo particolare nell'intreccio delle parti e, nella messa, ha spesso funzione di motivo ispiratore e conduttore nella composizione dei vari brani, fino a conferire all'opera aspetto ciclico. Tali procedimenti verranno mantenuti nell'epoca aurea della polifonia (sec. XVI), e troveranno applicazione anche nella musica strumentale, in modo speciale in quella destinata alla pratica religiosa (inni, versetti e corali per organo).

[...] Per l'affermazione del corale luterano a più voci, nel suo aspetto di melodia armonizzata, dobbiamo menzionare, accanto alla grande raccolta del Praetorius, quella di Hans Leo Hassler (1564 - 1612), uscita a Norimberga negli stessi anni (Kirchengesäng. Psalmen und geistliche Lieder, auff die gemeinen Melodeyen mit vier Stimmen simpliciter gesetzet, 1608). Tuttavia, le basi di questa maniera di trattare polifonicamente il Kirchenlied si riscontrano già nel corso del Cinquecento: nella raccolta del Walther, come si è visto (raccolta giunta nel 1551 alla quinta edizione, molto ampliata), e poi soprattutto in una vasta antologia pubblicata a Wittenberg da Georg Rhaw (Newe deudsche geistliche gesenge CXXIII, 1544).

Al 1627 risale l'edizione lipsiense del Cantional oder Gesangbuch Augspurgischer Confession di Johann Hermann Schein (1586 - 1630), opera importante per il primo sviluppo del corale polifonico con basso continuo per organo o altri strumenti (« für die Organisten, Instrumentisten und Lautenisten »). Tredici anni dopo vede la luce a Berlino il Newes vollkömliches Gesangbuch Augspurgischer Confession di Johannes Crüger (1598 - 1663), altra raccolta notevole fra le centinaia di collezioni del genere stampate nel Seicento. 

Libri di corali furono pubblicati anche nel corso del XVIII secolo, ma fra essi ci limitiamo a menzionare l'importante antologia di melodie (quasi tutte del repertorio tradizionale) armonizzate da J. S. Bach, uscita postuma a Lipsia, in 4 parti, a cura di Carl Philipp Emanuel Bach e Johann Philipp Kirnberger (J. S. Bach vierstimmige Choralgesänge, 1784 - 1787).

Qui, per ragioni varie, si ferma la storia del corale polifonico, il cui immenso patrimonio verrà tuttavia rivalutato nell'Ottocento, anche in coincidenza con la « scoperta » di Bach. [...] Non vogliamo dimenticare l'attenzione riservata al corale da compositori e musicologi tedeschi, che in questo secolo [XIX] hanno operato in favore della musica sacra protestante nel loro Paese.

Oltre che come pagina a sé stante, il corale luterano ebbe in Germania enorme fortuna, nell'epoca barocca, come base per la costruzione di composizioni anche di vasto respiro, in più parti (mottetti, cantate sacre, passioni e anche oratori): in esse il corale poteva essere presentato nella sua veste tipica di melodia armonizzata (a 4 o più voci, anche in diverse « versioni », secondo il testo da intonare), o elaborato in complesse trame contrappuntistiche, o infine impiegato in arie e pezzi d'insieme per « soli », nonché in brani puramente strumentali. Le opere sacre di Bach, fra cui la Passione Secondo Matteo (1729), bastano a fornire documenti d'arte eccelsa.

[...] [Nell'ottocento, Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809-1847), Johannes Brahms (1833-1897),] Anton Bruckner (1824 - 1896) e Max Reger (1873 - 1916) hanno, fra gli altri, variamente trattato il corale, anche in composizioni non soltanto vocali; Gustav Mahler (1860 - 1911), nell'8^ sinfonia (Sinfonia dei mille, 1906), basa la parte iniziale sull'inno latino Veni Creator Spiritus. In tempi più recenti abbiamo casi interessanti in Arthur Honegger (1892 - 1955), per esempio in Le Roi David (1921), specialmente alla conclusione della terza parte (La mort de David); mentre riscontriamo analogie con il corale luterano anche nelle melodie del ciclo Das Marienleben (1924) per soprano e pianoforte di Paul Hindemith (1895 - 1963).

Ma è forse più singolare l'accenno ad un maestro italiano e di fede cattolica, Lorenzo Perosi (1872 - 1956), che nei suoi oratori presenta armonizzazioni di corali non luterani, realizzate tuttavia secondo la tecnica costruttiva del Kirchenlied evangelico. [...] Negli oratori perosiani si trovano anche diversi saggi di cantus firmi intonati all'unisono dal coro con l'accompagnamento dell'orchestra, come la sequenza del « Corpus Domini » Lausa Sion Salvatorem (La passione di Cristo, 1898). [Esempi affini appaiono anche in Goffredo Petrassi e in Karlheinz Stockhausen].

(Dionisi, Toffoletti, Dardo, Studi sul Corale - Storia, tecnica, analisi, esercitazioni, Zanibon, pagg. 7 - 22)

domenica 4 ottobre 2020

Gli strumenti musicali dei popoli primitivi


Sugli strumenti musicali delle popolazioni primitive si sono compiuti numerosi studi. Essi hanno consentito di rilevare, anzitutto, che i primi strumenti furono adattamenti di utensili impiegati per fini pratici, o lo stesso corpo umano, e che relativamente tardi si pervenne alla costruzione di veri e propri strumenti musicali.

Uno studio approfondito degli strumenti dei popoli primitivi fu compiuto dal musicologo tedesco Curt Sachs.

Egli classificò gli strumenti basandosi sui caratteri morfologici (idiofoni, membranofoni, aerofoni, cordofoni) e ne illustrò la distribuzione geografica e culturale.

I più diffusi, anche perché si possono costruire cono oggetti di uso comune, sono gli idiofoni: dalla percussione del corpo umano o di sue parti si passa alla percussione del terreno con i piedi. Altri idiofoni primitivi sono: tronchi d'albero distesi sul terreno, o aperti, o scavati nel senso della lunghezza (tamburi a fessura, di solito con funzioni rituali). La percussione è effettuata con i piedi, o con le mani, o con mazze o battagli. Idiofoni di legno si possono anche sfregare tra di loro o raschiare. Invece si agitano i vari tipi di sonagli ottenuti riempiendo di sassolini o di semi di frutti essiccati (zucche) o dal guscio duro (noci di cocco), pelli di animali, vasi, o infilando pezzi di metallo in contenitori di legno, d'argilla e più tardi di metallo. I tipi più complessi di idiofoni sono gli xilofoni di varie fogge, i litofoni, i gong.

Meno vari sono in questo stadio i membranofoni, basati su pelli d'animali tese su un vaso o sulla cavità costituita da una zucca o noce di cocco e percossi con le mani. A stadi più evoluti appartengono i tamburi in cui una o due pelli sono tese su un recipiente di argilla o su un telaio di legno di forme diverse. I tamburi sono di solito percossi (con le mani o con bastoni), ma possono assere anche essere sfregati.

Tra gli aerofoni lo strumento più semplice è il bastone sibilante, una tavola di legno fissata ad una corda, che volteggiano in aria produce sibili di varie altezze, secondo la velocità.

I tipi più antichi di flauti sono ricavati da osa di animali, svuotate e fornite di alcuni fori laterali. Più tardi vennero i flauti di legno con imboccatura a tacca (come nel flauto dolce) e i flauti di argilla. Frequenti sono anche i flauti a più canne (siringa).

Gli strumenti meno diffusi nelle culture primitive sono i cordofoni. Tra le forme più arcaiche di essi sono da citare l'arco, una corda tesa fra un'estremità di un bastone elastico e un pezzo di corteccia stesa su una buca o tenuta con un'estremità in bocca; essa viene pizzicata o percossa; e il salterio di canna, costruito con una (o più) sottile striscia di scorza staccata da una canna di bambù. Con questi principi (un telaio fisso e corde elastiche tese su di esso e attraverso esso) furono costruiti i cordofoni più perfezionati, classificabili per lo più nei tipi delle cetre e delle arpe.

Si pose assai presto il problema di accrescere l'intensità dei suoni prodotti dagli strumenti, e ciò diede origine all'ideazione e all'applicazione di risuonatori. Il tipo più primitivo di risuonatore è una buca scavata nel terreno e ricoperta di pelli o altro materiale elastico. Altri risuonatori: recipienti di terra ricoperti, tronchi d'albero, zucche o frutti analoghi essiccati. Collocati a contatto del corpo sonoro vibrante, essi ne aumentano la sonorità.

(Riccardo Allorto, Nuova storia della musica, Casa Ricordi, pagg. 24-25)

sabato 3 ottobre 2020

L'origine della musica


Nella seconda metà del secolo scorso [XIX] e all'inizio del presente [XX] un problema che appassionò studiosi di varie discipline (musicologi, ma anche etnologi e antropologi) fu quello dell'origine della musica: quando e come nacquero i suoni e la musica?

Molte delle risposte che furono date rispecchiavano il pensiero positivista, che influenzava la scienza e le ricerche di quel periodo. [...] [Queste teorie però si basavano] sul presupposto che si potesse prospettare l'origine della musica secondo un processo unico e uguale per tutti i popoli e in tutti i continenti. Fu obiettato che è da ritenere impossibile che una realtà ricca e varia qual è la musica possa aver avuto origini monogenetiche.

Passi avanti furono compiuti, nell'approfondimento del problema, dagli studiosi delle successive generazioni, tra i quali Curt Sachs, Erich M. Hornbostel e Marius Schneider, i quali poterono avvalersi nelle loro ricerche della registrazione delle musiche e dei canti di molti popoli primitivi appartenenti a differenti aree etniche. Lo studio dei fotogrammi e la loro comparazione ha consentito di formulare alcuni principi della musicologia comparata. Prevale la convinzione che non sia possibile individuare i momenti precisi nei quali sia nata la musica e che perciò lo studio si debba rivolgere "allo stadio più antico ed embrionale che sia possibile individuare" (C. Sachs), cioè alla musica dei popoli primitivi più arretrati. 

E' diffusa la convinzione che la musica abbia avuto un'origine comune con il linguaggio, e che i primi nuclei di "linguaggio-suono" presentito una varietà assai ampia di moduli sonori, che va dai gridi ai suoni intonati, con modalità di emissione varie e diverse. Il "linguaggio-suono" si riconosce anche nelle emissioni di alcuni strumenti primitivi, quali tamburi, corni, flauti.


Musica e mitologia

Gli studi di antropologia consentono di affermare che nessuna convivenza umana ignora la musica. Quanto, viceversa, essa sia importante, lo si deduce dallo studio delle mitologie, dei riti, delle filosofie di diversi popoli.

Molti di essi considerano la musica un dono degli dei, che alcuni identificano in strumenti musicali; ritengono che il suono, anche quando ha origine da eventi naturali (per esempio il tuono), sia la voce degli dei e manifestazione della loro volontà. In molti miti riguardanti la creazione, è da fenomeni acustici che nasce il dio (o gli dei).

La musica è presente nella mitologia di tutti i popoli primitivi. [...] Molti e fantasiosi sono [per esempio] i miti greci: tra essi quelli di Ermete, inventore della lira da un guscio essiccato di tartaruga; di Orfeo, il cui canto placò le potenze infernali; di Anfione, il cui suono della lira edificò le mura di tebe.

I cantori, i sacerdoti, traggono la loro natura di esseri superiori dal fatto che conoscono le leggi arcane della materia sonora, che sanno pronunciare le parole, le formule, le voci, i canti magici.

I popoli primitivi pongono al vertice della struttura sociale (tribù o altro) chi ha la facoltà di pronunciare le formule rituali, nelle quali il suono prevale sulla parola. Sono queste formule, questi canti, mescolanze di "linguaggio-suono" che regolano i rapporti sociali primari all'interno delle comunità tribali, e che si manifestano attraverso i canti rituali della nascita, della circoncisione, delle nozze, i riti funerari, di guarigione e quelli legati al rivolgimento delle stagioni. 

In un più elevato campo di pensiero si pongono le speculazioni filosofiche (India, Cina) che collocano il suono al centro di un sistema cosmogonico, che coinvolge fatti ed eventi di svariata natura: il ritorno delle stagioni, i punti cardinali, i fenomeni naturali, i segni dello zodiaco, le classificazioni degli strumenti, eccetera.

(Riccardo Allorto, Nuova storia della musica, Casa Ricordi, pagg. 23-24; 25-26)