venerdì 29 aprile 2022

Sviluppo della notazione di durata

La notazione della durata, già presente nella misura delle vocali e delle sillabe nella lingua e nella metrica greca e latina, è approssimativa nel canto linguistico medioevale, sottintesa nella forma dei neumi o nelle litterae significative. Nel canto omofonico profano, e talvolta nell'innodia ambrosiana, è implicita nella metrica del testo poetico. La notazione mensurale vera e propria è legata allo sviluppo della polifonia: prima si differenziano e si contrappongono longa e brevis, in seguto compare la semibrevis. La minima come figura autonoma è teorizzata nel XIV secolo da Philippe de Vitry (Ars nova). I valori più piccoli, a partire dalla semiminima, si affermano via via nei secoli successivi.

Inizialmente il rapporto privilegiato tra le figure è quello ternario: quindi la durata di una figura può essere binaria o ternaria a seconda della sua proporzione con la figura immediatamente inferiore. Sempre alla teoria mensurale di Philippe de Vitry risalgono le indicazioni di modus (divisione della longa in tre o in due brevis), tempus (divisione della breve in tre o in due semibrevi) e di prolatio (divisione della semibreve in tre o in due minime). Fino a quasi tutto il XVII secolo esiste tra le figure questo rapporto variabile, con una conseguente serie di regole e di accorgimenti grafici che segnalano di volta in volta la situazione. Anche l'unità di misura, o di tactus (pulsazione), si sposta progressivamente dalla longa, alla breve, alla semibreve, alla minima, fino alla semiminima che, per la sua frequenza nella musica degli ultimi 250 anni, è oggi considerata l'unità di pulsazione di base (fondamentale).


Il punto di valore compare piuttosto presto, ora con funzione di punctum additionis (come l'attuale punto, che aggiunge ad una nota metà del suo valore), ora con funzione di punctum divisionis a ripartire valori ternari (quali le pulsazioni degli attuali tempi composti).

La legatura di valore tra note contigue parigrado, già presente nei codici manoscritti e nelle stampe musicali rinascimentali, si trova spesso sottintesa nella notazione fino alla prima metà del XIX secolo.

La stanghetta di battuta compare abbastanza tardi nella nitazione mensurale. Assente nei libri-parte della polifonia sacra e profana fino al secolo XVII, trova la sua ragion d'essere nelle intavolature strumentali, dove le barre verticali sono messe a volte senza riguardo al tempo o al tactus, solo allo scopo di rappresentare un ounto di riferimento per l'occhio che deve cogliere la polifonia nel suo insieme e realizzarla su un solo strumento. Quando la corrispondenza dell'apposizione delle stanghette di battuta comincia sempre più frequentemente a coincidere con il tactus o con un gruppo di tactus, avviene il passaggio al moderno concetto di battuta.