venerdì 27 agosto 2021

Beethoven e Rossini: un incontro storico

[Di Beethoven], Rossini aveva letto alcuni spartiti [...] e, poco dopo il suo arrivo a Vienna [nel 1822], aveva ascoltato la Terza Sinfonia per la prima volta. "Quella musica mi sconvolse" disse poi.

Rossini desiderava incontrarlo, ma gli dissero che Beethoven era un misantropo: gli assicurarono che sarebbe stato inutile chiedere di fargli visita, perché era così sordo da non poter sostenere alcuna coversazione. Rossini perseverò. Voleva incontrare il compositore la cui musica rabbiosa e aggressiva sembrava spezzare i confini del neoclassicismo. [...]

Rossini cercò di incontrare Beethoven, ma non ebbe risposta diretta; invece di risentirsi, cercò di capire: "Ebbi un solo pensiero: conoscere quel grande genio, vederlo, fosse pure una sola volta". Il primo intermediario a cui Gioachino si rivolse fu il signor Artaria, l'editore tanto suo che di Beethoven, ma il tentativo andò a vuoto. Poi si rivolse ad Antonio Salieri, il compositore che aveva dominato la scena musicale di Vienna nonostante la presenza di Mozart. Beethoven respinse anche la richiesta di Salieri. Infine, fu Giuseppe Carpani, uno dei primi biografi di Haydn, che condusse Rossini su per le traballanti scale di legno della casa di Beethoven, nella vecchia Schwarzspanierhaus. Beethoven si era barricato in una stanza sudicia, decorata da ragnatele. Era accudito da una governante che preparava un po' di cibo per quell'uomo cupo e poi spariva, lasciandolo trascurato, con i capelli unti e spettinati. Quando Beethoven usciva in strada, parlava ad alta voce ed era ossessionato da pensieri di morte; suo nipote si vergognava di lui. Tossiva, sputava in un fazzoletto per vedere se c'era del sangue; in effetti, era malato di tubercolosi, la malattia che aveva ucciso sua madre.

[...] Beethoven era al corrente della presenza di Rossini a Vienna. A Theophilus Freudenberg, un compositore che gli aveva chiesto un'opinione sulla musica di Rossini, aveva scritto: "È la traduzione dello spirito frivolo e voluttuoso che caratterizza la nostra epoca, ma Rossini è un uomo di talento e un eccezionale autore di melodie. Scrive con una tale facilità che impiega settimane per la composizione di un'opera laddove un tedesco impiegherebbe anni". Così il tormento romantico del settentrionale stava nel paragonarsi all'immaginaria disinvoltura solare di quel mondo mediterraneo che gli sfuggiva. Del resto, il fatto che Beethoven non abbia infine rifiutato di incontrare la sua apparente antitesi, suggerisce che l'indomito gigante riconosceva Rossini come suo pari. Beethoven, che presto avrebbe scritto i suoi ultimi cinque quartetti d'archi, l'apice della sua gloria, era stato istruito dai compositori che più Rossini ammirava: Haydn e Mozart. Al contrario di Rossini, componeva lentamente riesaminando in continuazione il proprio processo creativo. Aveva mecenati e amici, ma anche molti nemici.

Rossini fu profondamente commosso dallo squallore dell'alloggio di Beethoven. Notò che c'erano persino delle crepe sul soffitto. Il "van" aggiunto stupidamente al nome di famiglia per darsi un'aria aristocratica era smentito dai tratti contadini di Beethoven, ma la nobiltà interiore la si percepì quando lesse le domande rivoltegli da Rossini. Dietro il tavolo presso il quale Beethoven sedeva c'era il pianoforte a coda, uno dei migliori dell'epoca, costruito per lui da Conrad Graf. Lo strumento era già a pezzi, e le corde rotte. Sul tavolo, Rossini vide i cornetti acustici e i libri di conversazione nei quali i pochi visitatori che osavano andare a trovarlo scrivevano le domande quando egli non ci sentiva o non voleva sentire. C'erano un po' di monete sparse, diverse penne d'oca, una tazza da caffè rotta e il suo candelabro d'ottone, una statuetta di Cupido dalla forma neoclassica. Rossini, in seguito, descrisse quell'ncontro non solo a Wagner, ma anche a Hiller e Hanslick: "[...] I ritratti che conosciamo di Beethoven rendono nell'insieme abbastanza bene la sua fisionomia: ma quel che nessun bulino saprebbe esprimere è l'indefinibile tristezza che tutti i suoi lineamenti mutava, mentre sotto le folte sopracciglia brillavano, come nel fondo di caverne, occhi che quantunque piccoli, pareva che vi ferissero. La voce era dolce e alquanto velata. Quando entrammo era intento a correggere alcune bozze di musica. 'Ah! Rossini,' mi disse 'siete voi l'autore del Barbiere di Siviglia? Ve ne faccio i miei rallegramenti: è un'eccellente opera buffa. Essa si rappresenterà fino a tanto che esisterà un'opera italiana. Non cercate di far altro che opere buffe: voler riuscire in altro genere sarebbe far forza alla vostra natura'."

Rossini non avrebbe mai dimenticato questo appunto, alludendovi anche quando meditava sulla morte: dedicò scherzosamente i suoi ultimi lavori a Dio, ma ripeté anche l'affermazione di Beethoven; in altre parole, solo Dio e Beethoven potevano sapere che Rossini non era destinato alla musica seria. Egli, ironicamente, sottintendeva che tutti e due avevano torto. Io sono d'accordo con Rossini.

Carpani, che aveva preparato Beethoven all'incontro inviandogli gli spartiti di diverse opere serie, comprese Tancredi, Otello e Mosè, glielo ricordò. Beethoven rispose: "In effetti le ho scorse, ma vedete, l'opera seria non fa parte della natura italiana. Per trattare un vero dramma, non hanno abbastanza dottrina musicale e del resto come potrebbero acquisirla in Italia? Nell'opera buffa nessuno saprebbe eguagliare voi italiani. La vostra lingua e la vivacità del vostro temperamento si destinano ad essa. Guardate [...] Pergolesi. [...] Nel suo Stabat Mater, ne convengo, vi è sentimentro assai toccante; ma la forma vi manca di varietà [...], l'effetto è monotono, mentre la Serva Padrona..."

Rossini ricordò poi di aver espresso la sua "profonda ammirazione per il suo genio, e tutta la mia gratitudine per avermi dato l'opportunità di esprimergliela". Quanto era stato modesto - e grande - da parte di Rossini non risentirsi e, invece, rendere omaggio al grande Beethoven. E come si sbagliava Beethoven anche a proposito di Pergolesi: il suo Stabat Mater è un capolavoro  e ha dimostrato di resistere di più, nel tempo, de La Serva Padrona. Mentre Rossini scriveva sull'apposito quadernetto, servendosi di una di quelle penne d'oca che aveva visto sul tavolo, parole d'ammirazione - Beethoven capiva l'italiano, anche se Rossini avrebbe potuto essere messo alla prova sul tedesco che aveva imparato da poco -  il grand'uomo rispose con un profondo sospiro e con la semplice frase: "Oh, un infelice!". Carpani, Beethoven e Rossini rimasero tutti e tre silenziosi per qualche tempo.  Cosa pensava il compositore tedesco del trentenne Rossini, corpulento e vestito elegantemente? Beethoven ruppe il silenzio chedendo notizie sulla situazione della musica in Italia. Le opere di Mozart vi erano rappresentate? Se sì, quanto spesso? Proseguì facendo gli auguri a Rossini per la sua imminente Zelmira e poi annunciò che la visita era durata abbastanza. Accompagnando alla porta il compositore più giovane e Carpani, mormorò: "Ricordatevi di darci tanti Barbiere".

Un senso di profonda tristezza invase Rossini mentre scendeva le scale. Poiché aveva raggiunto la sicurezza economica, era ancor più colpito dalla povertà di Beethoven e si ritrovò a piangere copiosamente e rumorosamente. Carpani provò a consolarlo, sottolineando che Beethoven doveva rimproverare soltanto se stesso per il proprio isolamento. Ma Rossini non riusciva a cancellare dalla mente la tristezza espressa dalle parole sussurrate in italiano: "un infelice".

La sera stessa, a una cena offerta dal principe Metternich, Rossini descrisse quell'esperienza [...] [e p]rovò a convincere alcuni membri di quella società a garantire un vitalizio a Beethoven, ma nessuno lo ascoltò. Anche se a Beethoven fosse stata offerta una sistemazione adeguata, gli risposero, l'avrebbe abbandonata: faceva così ogni sei mesi. Quanto alla sua servitù, la licenziava ogni sei settimane. [...] Al ricevimento che seguì era presente tutta l'alta società viennese. "Nel programma figurava uno dei trii che Beethoven aveva pubblicato di recente [...], il nuovo capolavoro fu ascoltato con fervore religioso," affermò Rossini. Com'era possibile, si chiedeva, che il mondo apprezzasse la musica di Beethoven, eseguita in luoghi tanto lussuosi, mentre l'uomo che l'aveva composta viveva in totale squallore?

[...] Rossini non rinunciò al tentativo di raccogliere denaro per aiutare Beethoven. Alcune settimane più tardi aprì una seconda lista di sottoscrizione con il suo nome. Di nuovo, i viennesi non ne vollero sapere. Sebbene Rossini stesso non ne faccia menzione, una visita successiva è documentata nell'autobiografia di Anton Graeffer: "Io stesso portai Rossini da lui quando viveva in Kaiserstrasse. Nonostante il pubblico propendesse per questo italiano più che per tutti gli altri compositori del mondo, Beethoven lo abbracciò ripetutamente e gli dimostrò, con affetto fraterno, di apprezzare molto il suo talento."

Rossini certamente incontrò Beethoven più di una volta, se non altro per portargli i fondi raccolti. L'accoglienza descritta da Graeffer è ben diversa da quella che Rossini rievocò in seguito, quando ne parlò a Wagner. Non è sorprendente che nei ricordi di Rossini la visita con Carpani rimanga la più importante, perché era stata la prima.

[...] Rossini era [...] ossessionato dall'immagine di Beethoven, il cui genio era legato al suo temperamento cupo e alla rabbia che provava per la società;  Beethoven non componeva per compiacere o per sottomettersi al gusto altrui. Forse fu dopo questo confronto che Rossini pensò di non aspirare più al consenso: capì che, avendo composto così tanto e con enorme successo, era sempre stato al servizio degli altri. La musica si stava muovendo in direzione opposta, [...] doveva turbare e provocare: questo stava facendo Beethoven, e questa era la ragione della disapprovazione insita nell'etichettare Rossini come un compositore di opera buffa. Ma anche Beethoven concepiva l'opera buffa come satira, e le autorità lo sapevano. Il pubblico odierno individua troppo di rado i caustici giudizi critici dissimulati nell'opera buffa, specialmente in quella di Rossini. La sua opera buffa era spiritualmente critica nei confronti della società, e questo spiega perché sia ancora così divertente. [...]

Se fosse stato scontroso e arrabbiato, invece che arguto e mondano, se si fosse chiuso in un tugurio e avesse scritto musica che si scagliava contro l'ordine costituito, forse anche Rossini sarebbe stato respinto dalla società. Come i suoi predecessori, ma diversamente da Beethoven, Rossini si avvicinava alla composizione in primo luogo per guadagnarsi da vivere: era un lavoro come un altro. Nell'era romantica, quell'atteggiamento non era più possibile. L'altisonante esordio di Beethoven aveva spalancato i cancelli del Romanticismo. Il romanticismo esisteva già - come termine e certamente anche come concetto - al momento della visita di Rossini a Beethoven. Persino la malattia e la povertà (La Sonnambula di Bellini, La Traviata di Verdi) sarebbero diventati temi romantici, e tuttavia Gioachino Rossini aveva già sfiorato quei soggetti con una servetta accusata di furto, con un moro annientato dalla gelosia o con l'amore non corrisposto sullo sfondo dei laghi scozzesi. La libertà musicale che Beethoven aveva scelto lo aveva ridotto in povertà e quella era una condizione che Rossini rifuggiva: anche la semplice possibilità lo terrorizzava.