venerdì 23 febbraio 2024

Rossini e Wagner: confronto fra due epoche


Nel marzo 1860, due grandi musicisti si incontrarono e il primitivo sospetto si trasformò in rispetto reciproco. La conversazione tra Rossini e Wagner non fu solo uno scambio tra due compositori, ma anche il confronto fra due movimenti, l'Illuminismo e il Romanticismo, l'accettazione e la rivoluzione. Due uomini di genio, insieme nella stessa stanza, sapevano benissimo di trovarsi al cospetto della grandezza. Rossini ascoltò con un sorriso ironico gli attacchi di Wagner alla vecchia scuola cui egli apparteneva. Wagner fece molte domande, desideroso di conoscere i dettagli degli incontri del maestro con Mendelssohn, Weber e Beethoven. La riservatezza e il tatto del Rossini maturo si confrontavano con l'audacia teutonica di un Wagner che, in fin dei conti, comprendeva Rossini meglio di chiunque altro, con la probabile eccezione di Balzac. [...]

Fortunatamente era presente un terzo uomo [...]. Si trattava di Edmond Michotte, il cui resoconto di questi incontri fu pubblicato nel 1906. Quella che segue è una versione parafrasata e leggermente rielaborata dello scritto di Michotte. [...]

Nel 1861 Wagner era a Parigi e cercava di organizzare una rappresentazione del Tannhäuser all'Opéra. [...] Convinto della propria missione musicale, aveva qualità messianiche ed era la personificazione dell'individuo che il Romanticismo aveva propagandato. Quella era la differenza principale fra lui e Rossini, il quale aveva una predisposizione all'ironia che lo induceva a non prendere nulla sul serio, men che meno se stesso.

Per tutta Parigi circolavano motti di spirito contro Wagner, alcuni dei quali attribuiti a Rossini. [...] D'altronde, Wagner aveva sminuito crudelmente la musica di Rossini ed entrambi erano consapevoli dei reciproci commenti.

Wagner era curioso, ma anche preoccupato prima dell'incontro con il vieux rococo, il pigro buongustaio: Rossini, dopotutto, era ancora molto influente e per il compositore tedesco sarebbe stato vantaggioso ingraziarselo. Wagner, che aveva appena finito il Tristan und Isolde, rimase stupito da come il vero Rossini fosse diverso dall'immagine inventata dalla fantasia popolare. Anche Rossini fu colpito dalla serietà e dall'insoddisfabile fiducia in se stesso di Wagner. [...]

Rossini si era ritirato nella parte della sua stanza che si avvacciava sul boulevard des Italiens, dove trascorreva la maggior parte del tempo [...]. Quando i due visitatori entrarono nella stanza, Rossini diede loro un caloroso benvenuto in francese. "Ah! Monsieur Wagner, come un nuovo Orfeo, voi non temete di entrare in questo temibile recinto... So che mi hanno dipinto a tinte fosche ai vostri occhi." [...] Rossini disse immediatamente a Wagner che "quelli" gli avevano attribuito insulti che lui non aveva mai né detto né pensato. Non chiedeva di essere considerato saggio. "Mi attingo all'educazione ed evito di insultare un musicista che, come voi, sta cercando di ampliare i confini della nostra arte... Quanto a disprezzare la vostra musica, dovrei ascoltarla in teatro e non soltanto leggere lo spartito, non è possibile giudicare la musica che è stata creata per le scene. L'unica vostra composizione che conosco è la marcia del Tannhäuser. L'ho ascoltata spesso a Kissingen tre anni fa, quando mi sottoponevo alle cure. Ebbe un grande impatto su di me e - vi assicuro sinceramente - l'ho trovata molto bella [...] Ora che, spero, tutti i fraintendimenti fra noi sono dissipati, ditemi come trovate la vostra permanenza a Parigi. So che state parlando di mettere in scena il vostro Tannhäuser."
"Permettetemi, illustre maestro, di ringraziarvi per queste parole gentili che mi commuovono profondamente. Mi mostrano quanto il vostro carattere esprima nobiltà e grandezza. Credetemi: anche se mi criticherete, non mi offendo. So che i miei scritti sono di un genere che può suscitare fraintendimenti. A confronto con l'emergere di una gran mole di nuove idee, anche i giudici dalle migliori intenzioni possono male interpretare il loro significato. Questo accade perché, nelle mie opere, non sono ancora in grado di dare una logica e completa dimostrazione delle mie idee."
"È giusto" osservò Rossini, "poiché i fatti valgono più delle parole."
Wagner aveva suonato l'intero Tannhäuser al direttore del Théâtre-Italien, disse a Rossini, e sperava di poterlo mettere in scena. "Sfortunatamente, l'ostilità sollevata contro di me dalla stampa minaccia di prendere la forma di un vero e proprio complotto."
Quando udì la parola "complotto", Rossini, che era stato vittima di molti intrighi, lo interruppe, per ricordargli che innumerevoli compositori, da Gluck in poi, ne erano stati vittime.
"Nemmeno io sono stato risparmiato. La sera della prima de Il barbiere, quando, come accadeva all'epoca in Italia, suonavo il clavicembalo nell'orchestra per accompagnare i recitativi, dovetti proteggermi dal comportamento riottoso del pubblico. Pensai che stessero per assassinarmi. Qui a Parigi, quando venni per la prima volta, fui accolto da ogni sorta di epiteti ingiuriosi. Non fu diverso a Vienna, quando mi trovai lì, nel 1822, per mettere in scena le mie opere. Lo stesso Weber mi perseguitò implacabilmente dopo che le mie opere furono rappresentate nel teatro di corte italiano."
[...] "Weber, oh! So che era estremamente intollerante. Diventava irascibile soprattutto quando si trattava di difendere l'arte tedesca... Un grande genio, ed è morto così prematuramente!".
"Un grande genio, certo... [...] [A Parigi, in seguito, n]on mi aspettavo la sua visita e devo ammettere che ne fui commosso... Appena mi vide, quel poveruomo trovò necessario dirmi [...] il motivo per cui era stato così duro nei suoi articoli critici... Ma non lo lasciai finire". Rossini disse di non aver letto quelle recensioni: in ogni caso non sapeva i tedesco.
[...] A proposito di complotti, Rossini aggiunse: "Non si può fare altro che combatterli col silenzio e con l'inerzia: hanno più effetto, credetemi, delle ritorsioni e della rabbia. Il malanimo è immenso... Sputavo su quegli attacchi: più mi colpivano, più rispondevo irridendoli... Credetemi, il fatto che voi mi vediate indossare una parrucca non significa che quei bastardi siano riusciti a farmi cadere un solo capello dalla testa".
Mi lagnerò tacendo, insomma.
Ma funzionò? Wagner, che certamente si lamentava e mai in silenzio, riuscì ad attirare l'attenzione e si guadagnò il rispetto. Era temuto anche quando non aveva successo, mentre di Rossini, che fingeva di non prendere nulla sul serio, non si preoccupava nessuno.
Wagner rise della franchezza di Rossini. "Si renda grazie all'inerzia di cui parlate, maestro; quella era veramente una forza che il pubblico riconosceva."

[...] Poi i due parlarono di altri aspetti della musica. "Preferivo avere a che fare con soggetti comici, piuttosto che seri," disse Rossini. "Ma non ho mai avuto molta scelta nei libretti, perché me li imponevano gli impresari. Non posso dirvi quante volte accadde che all'inizio io ricevessi soltanto una parte della trama, un atto per volta, e che dovessi comporre la musica senza sapere cosa sarebbe venuto dopo... Cosa dovevo fare per mantenere mio padre, mia madre e mia nonna! Andavo di città in città come un nomade... Scrivevo tre o quattro opere l'anno. E non pensiate che questo mi sia bastato per vivere da gran signore. Per Il barbiere mi pagarono soltanto milleduecento franchi, più un vestito nocciola che il mio impresario mi regalò affinché facessi bella figura nell'orchestra. Quel vestito poteva valere cento franchi. Totale: milletrecento franchi. Avevo impiegato soltanto tredici giorni a scrivere lo spartito. Tenuto conto di tutto, faceva cento franchi al giorno. Vedete, nonostante tutto ricevevo un salario di tutto rispetto! [...]"
"Tredici giorni! È incredibile. Ma maestro, come potevate scrivere quelle pagine di Otello o di Mosè in quelle circostanze? Pagine superbe che recano il segno non dell'improvvisazione, ma dello sforzo meditato che seguiva alla concentrazione di tutte le vostre forze mentali?"
"Oh! Avevo facilità e grande istinto. Dovendo cavarmela senza una vera istruzione musicale - e dove avrei potuto averla in Italia, ai miei tempi? - imparai il poco che sapevo dagli spartiti tedeschi. [...] Un amatore di Bologna [...] me li prestò e poiché a quindici anni non avevo i mezzi per importarli dalla Germania, li copiavo. Inizialmente ero solito trascrivere la parte vocale dell'assolo senza guardare l'accompagnamento orchestrale." Rossini aggiunse che immaginava e scriveva il proprio accompagnamento e poi lo paragonava a quello dei grandi maestri. "Quel sistema mi insegnò più di tutti i corsi del Liceo... Se avessi potuto seguire i miei studi nel vostro paese, sono sicuro che avrei prodotto qualcosa di meglio".
"Certamente no, per citare soltanto le Scènes des ténèbres del vostro Moïse, la cospirazione del Guillaume Tell, o, cambiando genere, Corpus morietur..."
"Avete citato alcuni momenti felici della mia carriera! Ma cos'è tutto questo in confronto al lavoro di Mozart, a quello di Haydn? Non riesco a esprimere con sufficiente forza quanto io ammiri quei maestri per la loro sapienza, per la sicurezza che è così naturale nella loro arte della composizione." [...]

"Parliamo del futuro, dato che ogni discussione su di voi sembra inseparabile da questo concetto. [...] Quanto al vostro Tannhäuser, sono certo che riuscirete a portarlo in scena. Se ne è parlato troppo per non  risvegliare la curiosità dei parigini. La traduzione è pronta?"
La traduzione del Tannhäuser in francese non era ancora finita [...] "Ci sto lavorano in modo febbrile, con un collaboratore molto bravo e, soprattutto, estremamente paziente. Per la perfetta comprensione dell'espressione musicale abbiamo dovuto confrontare ogni termine francese con il corrispettivo in tedesco e sotto la stessa notazione. È un lavoro duro e difficle da realizzare."
"Ma perché non cominciate scrivendo un'opera  con ciascun numero adattato a un libretto francese [...]?"
Questo appunto di Rossini deve aver fatto rabbrividire Wagner: era la vecchia formula che Salieri aveva espresso con "Prima la musica, poi le parole" e che Rossini stesso aveva sempre cercato di seguire. Dal canto suo, Wagner deplorava il concetto di opera come insieme di "numeri": il suo dramma musicale non doveva avere arie né recitativi, nessuna cabaletta, né essere formalmente divisibile in brani. Di fatto, come si possono definire, se non "numeri", il duetto fra Siegmund e Sieglinde, l'assolo di Tristano morente o l'ardente, lungo lamento di Isotta? In un certo senso, solo Parsifal [...] realizza il sogno musicale di Wagner [...].
Rossini proseguì su quel campo minato: "Non stareste meglio se prendeste in considerazione il gusto francese dominante?". Il problema era proprio quello. Wagner non voleva seguire la moda in nessuna maniera:  voleva fare la storia della musica. Avrebbe piegato il gusto francese, non viceversa. Rossini, invece, gli suggeriva di rincorrere il successo che al momento gli sfuggiva, anche a costo della propria integrità. [...]
La risposta di Wagner a Rossini fu: "Nel mio caso, maestro, non penso che si possa fare. Dopo Tannhäuser, ho scritto Lohengrin, e poi Tristan und Isolde. Dal punto di vista sia letterario che musicale, queste tre opere rappresentano il logico sviluppo della mia concezione della forma definitiva e assoluta del dramma lirico. Il mio stile ha subito l'inevitabile effetto di quella transizione. E se è vero che mi sento in grado di scrivere altre opere nello stile di Tristan und Isolde, giuro che sono incapace di riprodurre il genere del Tannhäuser. Se mi trovassi nella situazione di dover comporre un'opera per Parigi su un testo francese, non potrei e non vorrei seguire altra strada che quella che mi ha condotto alla composizione di Tristan und Isolde." [...]
"Qual è stato il punto di partenza per le vostre riforme?"
"Non si è sviluppato tutto insieme. I miei dubbi risalgono ai primi tentativi, che non mi soddisfacevano: fu nella loro concezione poetica che queste riforme mi entrarono in mente. I miei primi lavori avevano soprattutto un obiettivo letterario.  In seguito volli ampliarne l'impatto aggiungendovi l'espressione musicale. Detestavo il modo in cui il mio pensiero si stava spostando verso il regno delle visioni, indebolito dalle richieste imposte dalla routine del dramma musicale... Quelle arie di bravura, quegli insipidi duetti fatalmente basati sempre sullo stesso modello... E quanti altri hors-d'oeuvres che interrompono l'azione scenica senza ragione!"
Wagner si stava muovendo su un terreno insidioso, perché stava descrivendo esattamente Rossini a Rossini, o almeno ciò che i suoi detrattori pensavano di lui. "E i sestetti!" continuò, "In ogni opera rispettabile era necessario che ci fosse un solenne sestetto in cui i personaggi del dramma, lasciando da parte il significato del loro ruolo, formavano una fila sul palcoscenico - tutti riconciliati! - per offrire al pubblico una di quelle banalità stantie." [...]
"E sapete come le chiamavamo in Italia, allora?" lo interruppe Rossini "La fila di carciofi. Ero perfettamente consapevole della stupidità della cosa; mi dava l'impressione di una fila di portieri venuti a chiedere una mancia. Era una consuetudine, una concessione al pubblico... che altrimenti ci avrebbe tirato fette di patate... o persino patate intere!" [...]
"Quanto all'orchestra," proseguì Wagner, "quegli accompagnamenti di routine... che ripetono sempre la stessa formula senza tenere conto della diversità dei personaggi e delle situazioni, la musica che così spesso rovina le opere più famose in molte situazioni... tutto ciò mi sembra incompatibile con l'alto obiettivo di un'arte che sia nobile e degna di quel nome."
"Vi riferite all'aria di bravura? Erano il mio incubo. Soddisfare  contemporaneamente la prima donna, il primo tenore e il basso" I cantanti cantavano le note di un'aria e poi "venivano da me e annunciavano che non avrebbero cantato perché uno dei loro colleghi aveva un'aria con più trilli e ornamenti della loro". [...]
"In effetti, mi sembra di avere a che fare con lo sviluppo razionale, rapido e regolare dell'azione drammatica. Come mantenere l'indipendenza dei concetti letterari insieme a una forma musicale che non è altro che convenzione? Perché se si dovesse seguire la logica, è sottinteso che un uomo quando parla non canta; un uomo irato, un cospiratore, un uomo geloso non canta... L'opera è convenzione dall'inizio alla fine. E cosa dire della strumentazione stessa? Chi potrebbe distinguere, quando l'orchestra è scatenata, la differenza tra la descrizione di una tempesta, di una rivolta o di un incendio?... È sempre convenzione!"
"Chiaramente, e su larga scala, la convenzione è imposta a tutti, altrimenti bisognerebbe rinunciare completamente al dramma lirico e anche al teatro in musica. Nondimeno, è innegabile che questa convenzione deve evitare gli eccessi che portano all'assurdo, al ridicolo."
Dopo aver affermato che, a eccezione di Gluck, e Weber, lo si accusava, di ripudiare tutta la musica esistente, Wagner proseguì: "Ai miei occhi la missione del musicista è quella di comporre un'opera che abbia come obiettivo la formazione di un organismo in cui si concentri l'unione perfetta di tutte le arti: poetica, musicale, decorativa e plastica. Questo desiderio di confinare il musicista nel ruolo di semplice illustratore strumentale di qualsiasi libretto, imponendogli un numero arbitrario di arie, duetti, scene ed ensemble... di pezzi che deve tradurre in note come un colorista che riempia contorni già stampati in bianco e nero... Ci sono certamente esempi di compositori che, ispirandosi a una situazione drammatica, hanno scritto pagine immortali. Ma quanti altri vengono sminuiti dal seguire questo sistema?". [...]
Rossini rifletté su quanto Wagner gli aveva appena detto.
"Se ho capito bene, per realizzare il vostro ideale il compositore dovrebbe essere il librettista di se stesso. Mi sembra una condizione impossibile."
"Perché? Perché i compositori che imparano il contrappunto e studiano la letteratura non dovrebbero apprendere anche la storia e la mitologia? Ci sono pochi compositori drammatici che non hanno dimostrato talento poetico e letterario. Per non andare tanto in là, voi stesso, maestro - prendiamo per esempio la scena del giuramento del Guillaume Tell -, volete forse dirmi che avete rispettato parola per parola il testo che vi è stato consegnato? Non ci credo. Non è difficile notare le differenze di esposizione d'intensità: queste hanno un effetto così profondo sulla musicalità - e sull'ispirazione spontanea che mi rifiuto di attribuire la genesi all'intervento di un testo prestabilito."
"Quel che dite è vero. Quella scena, infatti, ha subito molte modifiche su mia indicazione, ma non senza difficoltà."
"Vedete, maestro, avete fatto un'implicita confessione che conferma quello che ho detto... È inevitabile che ci sia la musica del futuro, ma la musica del futuro è il dramma."
"Per farla breve," rispose Rossini, "è una rivoluzione radicale! Pensate che cantanti abituati a dispiegare il loro talento nei virtuosismi si sottometteranno a dei cambiamenti così deleteri per la loro fama?"
"Sarà un'educazione lenta. Quanto al pubblico, influenza i compositori o sono i compositori a plasmare il pubblico?"
"Dal punto di vista dell'arte pura, si tratta di considerazioni innegabilmente a lungo termie, di prospettive seducenti." [...]
"Voglio una melodia libera, indipendente. Una melodia dalla forma estremamente precisa, che possa estendersi, contrarsi, prolungarsi... [...] Quanto a quel tipo di melodia, ne avete dato un esempio sublime in quella scena del Guillaume Tell, 'Sois immobile', in cui la profonda libertà della linea del cantato accentua ogni singola parola e, sostenuta dal suono sospirante del violoncello, raggiunge il vertice dell'espressione lirica".
"Così ho fatto musica del futuro senza saperlo?"
"Avete fatto musica per tutti i tempi, è la cosa migliore... Se non aveste lasciato la penna dopo il Guillaume Tell, [...] Voi stesso non avete idea di ciò che avreste potuto tirar fuori dalla vostra mente!"
"Dopo aver composto quaranta opere in quindici anni, sentivo il bisogno di riposo. E in più i teatri italiani, all'epoca, erano in totale declino."
Rossini mentiva. Non era quello il vero motivo per cui aveva smesso di comporre. Forse si rese conto di aver mostrato la sua vera identità a Wagner [...]: si erano scambiati delle verità. [...] Rossini scelse di tornare a rifugiarsi dietro a una cortina di nebbia. [...] "Mio caro Monsieur Wagner, non so come ringraziarvi per la vostra visita, e in particolare per avermi esposto le vostre idee. Io non compongo più, avendo raggiunto un'età in cui si è più inclini a decomporsi. Sono troppo vecchio per guardare verso nuovi orizzonti. Ma le vostre idee sono di un genere che fa riflettere i giovani. Tra tutte le arti, la musica, per la sua essenza ideale, è quella più incline ai cambiamenti. Senza limite. [...] Io ho fatto parte del mio tempo. Su altri, e in particolare su di voi, [...] ricade l'onere della creazione di ciò che è nuovo e viene dopo, e ve lo auguro con tutto il cuore".
Si separarono da amici: Wagner trovò Rossini semplice e naturale, un genio sviato dalla sua educazione latina che non gli permetteva di capire che l'arte è una religione.
"Ma devo ammettere," disse Wagner a Michotte [...] "che tra tutti i musicisti che ho incontrato a Parigi solo lui è veramente grande."
Quella stessa sera, Rossini [...] disse [...] "Questo Wagner mi sembra dotato di facoltà di prima categoria. Il suo aspetto fisico [...] rivela una volontà di ferro. È una gran cosa saper volere". Rossini pensava però che a Wagner "mancassero i benefici del sole". Ma lo ammirava. Tanto Rossini che Wagner riconobbero l'uno la grandezza dell'altro.

(Tratto da Gaia Servadio, Gioacchino Rossini - Una vita, Universale Economica Feltrinelli)