Questo primo dramma musicato interamente dall'inizio alla fine non fu comunque frutto soltanto della fantasia di Peri. Euridice nacque da oltre 25 anni di dibattito e discussione nei circoli intellettuali italiani su un certo numero di argomenti in relazione alla musica e al teatro: discussioni e dibattiti che si accentravano attorno alle idee neoplatoniche sulla natura della musica ed il suo potere di commuovere; sulla natura della musica greca antica; e sulla proprietà dei vari nuovi generi letterari crescenti alla fine del sedicesimo secolo, specialmente il dramma pastorale.
Gli intermedi che separavano i cinque atti di molte commedie divennero il genere principale della musica teatrale nell'Italia del sedicesimo secolo. Alcuni intermedi consistevano in non più di un madrigale o composizione strumentale (in cui cantanti e strumentisti si esibivano o sul palco o dietro le quinte) che segnavano semplicemente la divisione di una commedia in atti ed il passare del tempo. Quando, comunque, venivano rappresentate delle commedie per importanti eventi politici, come il matrimonio di un membro della famiglia reale, gli intermedi erano molto elaborati, ogni quadro consisteva in una o più danze, canzoni e cori. Molti di questi intermedi più elaborati possedevano un'unità tematica. Quelli per La Calandria di Bibbiena rappresentata a Lione del 1548, per esempio, in occasione della visita di Enrico II alla città, raffiguravano l'età del ferro, bronzo, argento, oro.
Il tema neoplatonico dell'armonia delle sfere, e il dono finale degli dei all'umanità del ritmo e dell'armonia, incomincia gli intermedi, che includono quadri raffiguranti le rivalità fra le Muse e le Pieridi, la vittoria di Apollo sul serpente Pitone, e la storia di Airone e il delfino. Più di ogni altra serie di intermedi, quelli del 1589 mostrando a qual punto il loro effetto scenico e la loro originalità musicale oscurassero i drammi per i quali essi erano stati originariamente ideati.
Molte accademie che crebbero in Italia durante il XVI secolo discutevano di questioni letterarie. Forse non vi fu argomento più acceso tra gli intellettuali italiani delle caratteristiche dei nuovi e molteplici generi che sorsero durante il secolo, e specialmente se accettare o no nel canone letterario la nuova poesia epica di Ariosto (Orlando Furioso) e di Tasso (Gerusalemme Liberata) e il nuovo genere di dramma pastorale che cominciò con l'Aminta del Tasso (1573) e il Pastor fido del Guarini (pubblicato per la prima volta nel 1589 ma completano alcuni anni prima).
La musica giocò un ruolo importante sebbene secondario in entrambi i generi. I versi di Ariosto furono musicali o come madrigali o, nella più antica tradizione italiana della declamazione, secondo formule che prevedevano l'impiego di un gruppo ripetuto di accordi convenzionali. La musica ebbe pure un ruolo importante nel Pastor fido di Guarini, perché i pastori antichi - come gli dei - erano più portati per il canto dei comuni mortali. Ci fu anche discussione tra gli accademici de l'antica tragedia greca fosse interamente cantata. La natura della musica greca antica divenne argomento d'indagine nell'Italia del tardo secolo XVI. Vincenzo Galilei [padre del più famoso Galileo], liutista fiorentino e confidente del Bardi, per esempio, imparò ciò che sapeva della musica greca dal suo amico, l'antichista romano Girolamo Mei.
Galilei comunque, fu non tanto interessato all'esatta riproduzione della musica antica quanto ad apprendere l'abilità di commuovere la gente attraverso la musica. Si accorse che era soltanto mediante l'eliminazione del contrappunto complesso poteva riscoprire il potere affettivo della musica. Raccomandava ai compositori di tenere conto della semplicità della musica popolare e di copiare i modelli naturali del discorso, osservando attentamente come parlavano effettivamente le varie persone in differenti stati e motivi. Galilei sosteneva di essere il primo a scrivere in uno stile musicale autenticamente nuovo, musicando estratti di Dante e i Lamenti di Geremia, composizioni che sono andate perdute.
Gli intermedi fiorentini del 1589, che dipingevano in modo suggestivo il potere della musica nel modo antico, conducevano direttamente ai primi tentativi di musicare i drammi dall'inizio alla fine, poiché tutti i primi melodrammi trattano storie della mitologia in cui la musica ha un ruolo fondamentale: Dafne di Ottavio Rinuccini messa in musica (quasi tutta persa) nel 1598 da Peri con Jacopo Corsi (il successore di Bardi come leader intellettuale a Firenze), un dramma rimusicato un decennio più tardi da Marco da Gagliano; la versione di Rinuccini della favola di Orfeo musicata sia da Peri che da Caccini e una rielaborazione di Alessandro Striggio della stessa favola, musicata da Claudio Monteverdi per una rappresentazione in Mantova nel 1607.
Tutti i dibattiti, discussioni e sperimenti musicali del precedente ventennio - la consolidata tradizione degli intermedi di corte come anche i vari tentativi di musicare singole scene drammatiche e l'interesse per la natura del dramma pastorale come anche il desiderio di riscoprire l'antico potere emotivo della musica - finalmente diedero i loro frutti nei festeggiamenti di Firenze per le nozze di Maria de' Medici con Enrico IV di Francia nel 1600.
Per molti dei partecipanti l'occasione non fu comunque un successo completo. A Giulio Caccini, grande rivale di Peri alla corte fiorentina, fu commissionato di scrivere musica per la più grande delle opere da rappresentare, Il rapimento di Cefalo, del quale ci giungono solo pochi frammenti; la rappresentazione non sembra aver sollevato grande entusiasmo nel pubblico. Emilio de' Cavalieri, che curò la produzione dell'Euridice di Peri, si lamentò che le scene non fossero terminate in tempo per la rappresentazione. Il conte Bardi, prima di lasciare Firenze contrariato, ebbe da ridire sulla scelta del dramma e della musica: il soggetto, obiettò, non era adatto per un matrimonio e la musica sembrava un canto lamentoso, paragonando certamente gli eventi del 1600 con quelli che egli stesso organizzò nel 1589. Per era contrariato dal fatto che Caccini non permettesse ai propri studenti e ai membri della sua famiglia, che partecipavano alle celebrazioni, di cantare la musica da egli composta, così la prima rappresentazione di Euridice effettivamente miscelava passaggi di entrambi i compositori. Tantomeno Peri poteva essere pago del fatto che successivamente Caccini compose la musica per il resto del dramma e affrettò la stampa della sua versione dell'opera completa prima che peri potesse fare altrettanto.
Il pubblico nel 1600 non avrebbe potuto capire quanto significativi per la storia della musica sarebbero stati gli eventi di cui erano testimoni. È soltanto oggi che apprezziamo l'Euridice di Peri, riconoscendone tutta la valenza musicale e teatrale. La sua forza dipende non poco dal fatto che è un'opera da camera relativamente breve, ideata per la rappresentazione in una piccola stanza ed eseguita per un ristretto pubblico di conoscitori.
All'interno delle cinque brevi scene dell'opera, Peri riuscì a creare una ricca varietà di musica che è sempre responsabile delle dinamiche del dramma. Non è affatto giusto considerare questa come un'opera che procede con recitativo interrotto - il recitar cantando - dall'inizio alla fine. Ciascuna scena chiude con un coro formato secondo i canoni dei vecchi intermedi. I cori variano dalla gioiosa canzone danzata in celebrazione delle imminenti nozze di Orfeo ed Euridice al termine della scena iniziale ("Al canto, al ballo"); al lamento pietoso per la morte di Euridice ("Sospirate, aure celesti") che chiude la seconda scena; la quasi-danza, canzone della speranza ("Se de' boschi i verdi onori") che chiude la terza scena, e l'eco del coro d'atmosfera degli dei nell'Inferno ("Poi che gl'eterni imperi") che termina la quarta scena.
Il Cavalieri indubbiamente creò l'elaborato finale ("Biond'arcier, che d'alto monte") in imitazione del finale che ideò per gli intermedi del 1589. Entrambi furono ballati e cantati da cori in cinque parti che alternavano tre parti strumentali e interludi vocali. Inoltre, Peri interruppe due volte il fluido dialogare del recitato con semplici canzoni strofiche: nel pur ardor del contadinotto Tirsi nella seconda scena, un incantevole interludio rustico ed ingenuo che da forte risalto al successivo racconto della morte di Euridice cantato da Dafne, e l'esultante Gioite al canto mio di Orfeo, le prime parole che pronuncia al suo ritorno dall'inferno con l'amata Euridice.
Anche all'interno dei confini del recitativo semplice, che possiamo immaginare musicalmente limitati, Peri fece una netta distinzione tra le conversazioni relativamente neutre tra le ninfe e i pastori e gli altri punti emotivi dell'opera, che egli, in modo appropriato e caratteristico, compose come recitativo: il racconto accorato di Dafne circa la morte di Euridice, Per quel vago boschetto; il lamento di Orfeo, Non piango e non sospiro, che va dallo sgomento attraverso il dolore alla ferma risoluzione di raggiungere la sua amata; la supplica di Orfeo davanti alle porte dell'Inferno, Funeste piagge, con il ritornello Lacrimate al mio pianto, ombre d'Inferno, il canto con cui riconquista Euridice.
Ogni rappresentazione dell'Euridice di Peri deve essere necessariamente unica, perché il compositore, seguendo le consuetudini del suo tempo, non fornì le istituzioni a noi necessarie per conoscere precisamente ciò che intendeva, o cosa fu fatto nel 1600. Non sappiamo neppure per certo quali strumenti accompagnarono i cantanti nella prima rappresentazione. Nella prima edizione dell'opera Peri stampò soltanto le linee del canto, un accompagnamento del basso, e in alcuni casi per strumenti melodici non specificati. Nella sua prefazione, Peri nominò soltanto alcuni dei suoi amici aristocratici o di buona famiglia e mecenati che presero parte alla prima. Jacopo Corsi suonò il clavicembalo, il Signor Don Grazia Monralvo la tiorba, Giovan Battista Jacomelli, chiamato "dal violino" a causa del suo grande talento violinistico, suonò un lirone a più corde e Giovanni Lapi un grande liuto.
Ci devono essere stati altri strumenti, comunque, in quel piccolo ensemble che accompagnò i cantanti di Euridice, probabilmente un paio di violini o flauti oppure entrambi per suonare i ritornelli nel Prologo, quelli nella canzoni di Tirsi intesi per imitare i flauti di Pan, e quelli nel gran finale. Il fatto che il compositore mancò di dare una precisa strumentazione per l'opera (tantomeno delle precise indicazioni circa gli altri aspetti della rappresentazione) suggerisce che egli desiderava lasciare ai musicisti ampia libertà di adattare le loro esecuzioni a seconda delle esigenze individuali e dell'acustica dell'ambiente, della disponibilità di un gruppo specifico di strumenti, del gusto e delle caratteristiche individuali dei cantanti. Peri evidentemente comprese che due rappresentazioni non dovevano e non potevano essere esattamente uguali, ed egli rispettò i desideri dei musicisti per i quali l'edizione era ideata per cogliere gli impulsi creativi del momento, quegli impulsi che danno vivacità e vitalità ad una rappresentazione.
Non è soltanto la rappresentazione di Euridice, comunque che è e deve essere unica. L'opera stessa è unica. Peri fu il primo ad affrontare gli stessi problemi estetici, drammatici e musicali di ogni altro compositore nella storia della musica. Le sue sue soluzioni nel creare un'opera da camera squisita e commovente, comunque, non furono realmente seguite (né potevano esserlo) dai compositori successivi. Sensibile ad ogni sfumatura del libretto di Rinuccini, Peri scrisse una musica che rispecchiava la retorica delle parole e nel contempo incorporava il loro contenuto affettivo. Attraverso la sua musica, il compositore ha stabilito una lettura del dramma che rivela pienamente il suo potere e motivo.
(Tratto dall'articolo inserito nel libretto allegato al cofanetto Peri - L'Euridice - Art)
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