sabato 27 febbraio 2021

Recensioni discografiche: "L'Euridice" di Giulio Caccini


Quando Enrico IV di Francia e Maria de' Medici si sposarono nell'anno 1600 a Firenze, una nuova forma d'arte, l'opera, giocò un ruolo fondamentale nelle celebrazioni del matrimonio: fu in questa occasione, precisamente il 6 ottobre a Palazzo Pitti, che venne rappresentata per la prima volta L'Euridice di Jacopo Peri. Nel frattempo, Giulio Caccini, altro componente della Camerata de' Bardi in contrasto con il suo illustre collega, anticipò il rivale nella pubblicazione della sua personale versione dello stesso libretto del Rinuccini nel mese di Dicembre. Ne nacque un'opera caratterizzata, rispetto a quella omonima di Peri
, per un lirismo, un'emozione e una tecnica di scrittura vocale che già preannunciano L'Orfeo di Claudio Monteverdi.

Questa registrazione, curata dalla casa discografica Ricercaroltre ad essere la prima assoluta dell'opera di Caccini, è anche la prima realizzazione discografica dell'ensemble Scherzi Musicali: voci giovani e fresche in grado di comunicare al meglio la freschezza, l'ingenuità e l'innocenza di Orfeo e del suo universo. Al fine di rendere fruibile al pubblico moderno questo capolavoro indiscusso degli albori del melodramma, Nicolas Achten, direttore dell'ensemble, si è posto tutta una serie di quesiti che hanno richiesto lunghe e laboriose riflessioni.

Orfeo, come Caccini, si accompagnava al canto con la tiorba. Nell'idea di una compagnie "all'antica", gli altri cantori potevano ricoprire sia ruoli "terreni", come ninfe e pastori, sia ruoli "spirituali", come Venere, Plutone, Carone e Proserpina. Quanto all'effetto strumentale, esso raccoglieva i più importanti strumenti di basso continuo presenti a Firenze intorno al 1600 (Caccini era capace di suonarli tutti): due grandi tiorbe o chitarroni, un liuto attiorbato, una chitarra, un'arpa tripla, un organo positivo, un lirone, una viola da gamba e due clavicembali (uno dei due con corde di budello). Ognuno di questi strumenti s'alterna o si combina, si completa o si contrappone nei differenti affetti, al fine di veicolare al meglio l'emozione del testo. Per quanto riguarda infine l'uso del coro dell'Euridice, non è certamente quella grande massa di sessantacinque cantori che si impiegò per altre rappresentazioni come Il rapimento di Cefalo. Si legge sovente nella partitura "Ninfa del coro" o "Pastore del coro" o ancora "Coro à 5": ciò significa probabilmente che i cori erano destinati a un gruppo di solisti più che agli insiemi corali a cui siamo abituati oggi. La scrittura ornata che caratterizza taluni di questi "cori" e l'intimità di Palazzo Pitti dove l'opera venne rappresentata non fanno che avvallare questa supposizione. Il termine "Coro" qualifica egualmente delle corte frasi in stile recitativo: si tratta per lo più di alcuni interventi attribuiti alle ninfe o ai pastori.

Con L'Euridice, noi siamo di fronte a una partitura scritta prima di gran parte del repertorio che noi conosciamo oggi. È dunque difficile comprendere le posizioni di Caccini, il quale, dopo aver appreso il contrappunto, lo rigetta in toto al fine di creare un modo di fare musica più lineare e leggero. Anche la notazione di questo nuovo linguaggio si rivelò una sfida per lui: egli aveva a disposizione un metodo di scrittura adatto alla polifonia vocale, mentre la nuova forma musicale necessitava di un sistema completamente diverso. Questo problema di notazione fu un ulteriore motivo di contrasto fra Caccini e Peri: mentre quest'ultimo riteneva necessario ascoltare le arie cantate prima dall'autore per comprendere come eseguirle, Caccini considerava tutto superfluo se si poteva usufruire di una notazione sufficientemente chiara e comprensibile. Si è tentato così, malgrado la notazione metrica dei recitativi, di ritrovare la flessibilità della lingua italiana usando la "sprezzatura" pretesa da Caccini ("Bisogna cantare senza misura, quasi favellando in armonia con sprezzatura, togliendosi al canto una certa terminata angustia e secchezza, si rende piacevole licenzioso e arioso, siccome nel parlar comune la eloquenzia e la fecondia rende agevoli e dolci le cose di cui si favella...") e confermata da diverse fonti contemporanee.

Numerose sono le fonti che testimoniano la presenza di intermedi musicali tra i vari atti delle opere di allora. In questa realizzazione si è scelto di preservare al massimo l'universo musicale di Caccini, punteggiando l'opera con le sue variazioni sull'aria La Romanesca.

Caccini scrisse la sua Euridice in un'ottica di ricerca: è questo lo spirito con cui questa registrazione tenta di esplorare e sperimentare come meglio rendere giustizia alla sua musica. La prefazione delle Nuove Musiche è il faro che permette dissipare le zone d'ombra circa l'esecuzione di quest'opera. Concepita e scritta più di quattro secoli fa, la sua forza emozionale  la rende forse più prossima a noi di quanto crediamo.

Nessun commento:

Posta un commento