Ma da dove viene questo modo di dire? Come molte espressioni idiomatiche della nostra lingua, anche questa trova origine nell'opera lirica. Nello specifico, L'Amico Fritz è il titolo di una commedia musicale scritta da Nicola Daspuro e musicata da Pietro Mascagni, a sua volta tratta dall'omonimo romanzo, poi divenuto dramma, della coppia Erckmann-Chatrian. Lo scapolo Fritz Kobus, ricco e generoso possidente ma restio a contrarre matrimonio, scommette con l'amico David che quest'ultimo non riuscirà mai a convincerlo a sposarsi. Ma quando conosce Suzel, figlia del suo fattore, presto finisce per innamorarsiene. Per non venir meno alla sua fama di scapolo d'oro, Fritz tiene inizialmente celati i suoi sentimenti. Quando però viene a sapere che Suzel è promessa sposa ad un uomo che non ama, non può più tratenersi e confessa il suo amore e l'intenzione di volerla prendere lui per moglie. David ha dunque vinto la scommessa, ma ne cede il ricavato a Suzel come dono di nozze.
martedì 28 dicembre 2021
Origine dei modi di dire: L'AMICO FRITZ
Una delle espressioni più diffuse nella nostra lingua, da nord a sud del paese, è "l'amico Fritz". Quante volte abbiamo fatto riferimento a qualcuno definendolo "l'amico Fritz"? Si tratta di un modo di dire che si usa per parlare di qualcuno a noi noto senza però chiamarlo per nome, in un certo modo al contrario di "pincopallino", che invece è utilizzato per parlare di un individuo qualunque. Oggi viene utilizzato in tutte le situazioni, con tono abbastanza neutro, come appellativo scherzoso senza un particolare significato, ma in origine designava un personaggio con particolari caratteristiche, eccentrico, estroso o comunque speciale, oppure, ironicamente, un personaggio che vanta quelle stesse caratteristiche senza però averle.
giovedì 23 dicembre 2021
Edizioni musicali: Le nove sinfonie di Beethoven in tre volumi (Dover Publications)
Accostarsi allo studio di questi indiscussi capolavori è di fondamentale importanza per prendere dimestichezza non solo con la forma della sinfonia, ma anche con l'arte dell'orchestrazione, in cui il compositore tedesco era un maestro indiscusso. Grazie a questa edizione proposta dall'americana Dover Publications, tutte le nove sinfonie di Beethoven sono ora disponibili in tre volumi di grande formato e di agevole consultazione, dotati di ampi margini liberi dove poter prendere nota mentre di segue o si studia la musica. Si tratta di una fedele riproduzione dell'autorevole edizione curata nell'800 dal pianista, compositore ed editore Henry Litolff, che si distingue per l'uso di caratteri nitidi e di facile lettura.
Il piano dell'opera è così strutturato: il primo volume comprende le sinfonie nn. 1, 2, 3 e 4, il secondo la 5, la 6 e la 7 e il terzo la 8 e la 9. All'inizio di ogni volume, per ogni sinfonia viene fornita la strumentazione e, nel terzo, anche una traduzione in inglese del celebre "Inno alla gioia".
Grazie alle copertine di alto pregio grafico realizzate da Paul E. Kennedy, queste partiture, oltre a essere utili, sono anche gradevoli da vedere e doneranno certamente un tocco di colore in più alla vostra libreria musicale.
Buono studio!
Recensioni discografiche: Tutti i concerti di Beethoven (Deutsche Grammophon)
Ludwig van Beethoven ha dedicato alla forma del concerto ben sette capolavori di indiscussa grandezza: cinque concerti per pianoforte, uno per violino e un triplo concerto per violino, violoncello e pianoforte. Fra le sue composizioni compaiono tuttavia anche opere minori, movimenti singoli, frammenti e arrangiamenti non sempre conosciuti dal grande pubblico. Su tutti, però, aleggia la maestria di Beethoven nel trattare l'orchestra e nel farla dialogare con gli strumenti concertanti in una maniera, del tutto inedita per l'epoca, destinata a fare grande scuola per l'intero periodo romantico e oltre.
Nei cinque concerti per pianoforte, il compositore ha dato sfoggio della sua spiccata capacità di scrivere musica di getto, con grande spontaneità e naturalezza, come un oratore talentuoso che imbastisce un discorso sul momento. Come Mozart prima di lui, Beethoven fu un grande improvvisatore e si servì del genere concertistico per dare dimostrazione delle sue elevate capacità virtuosistiche e drammatiche. I suoi concerti per pianoforte rivelano pertanto il suo spirito musicale sempre in movimento e denotano un'immagine potentissima del Beethoven pianista.
Con il Triplo concerto per violino, violoncello e pianoforte in do maggiore Op. 56, composto nel 1804 e coevo alla Terza Sinfonia, Beethoven ha fatto mostra di una brillante retorica musicale, anche se spesso piuttosto convenzionale. Ma è con il Cocnerto per violino in re maggiore Op. 61, risalente al 1806, che Beethoven raggiunge vette indiscusse di intimità e delicatezza espressiva. Il semplice ed elementare motivo di quattro colpi di timpano con cui inizia il primo movimento viene trattato da Beethoven in maniera impressionante e poche altre sue opere producono un effetto tanto grande con una tale economia dei mezzi musicali.
In questa raccolta della serie Collectors Edition, che ripropone pietre miliari del catalogo Decca e Deutsche Grammophon, sono ricompresi anche le altre composizioni e gli arrangiamenti scritti da Beethoven per questa forma compositiva: il Concerto per pianoforte in mi bemolle maggiore WoO 4, di cui è sopravvisuta in originale solo la parte per pianoforte; la romanza in mi minore per pianoforte, flauto fagotto e orchestra, frammento completato dal musicista Willy Hesse, il primo movimento di un concerto per violino in do maggiore catalogato WoO 5; le due romanze per violino e orchestra Op. 40 e 50; la trascrizione per pianoforte e orchestra del concerto per violino Op. 61.
Nei 5 CD che compongono questo cofanetto trovere tutta la musica scritta da Beethoven per la forma concerto eseguita da grandi artisti del calibro di Maurizio Pollini, Daniel Barenboim, Anne-Sophie Mutter, Yo-Yo Ma ed altri grandissimi nomi.
Buon ascolto!
martedì 7 dicembre 2021
Recensione libri: "Il lungo treno di John Cage", di Inkyung Hwang (ObarraO edizioni)
"Trattare il tema degli scambi sinestetici tra la musica e l'arte visiva nelle avanguardie moderne ha a che fare, in un certo senso, con la concezione dello spazio-tempo. La musica è un'arte di durata che si svolge soprattutto nel tempo, mentre l'arte visiva implica in primo luogo lo spazio [...]. Il tempo e lo spazio sono le due dimensioni in cui si svolgono le nostre attività percettive più importanti [...] e per questo motivo, sin dall'antichità, filosofi e scienziati hanno indagato sui fondamenti e sulla natura profonda di queste categorie. La modernità [...] ha moltiplicato e non diminuito la rilevanza del problema, che dal piano fisico-matematico si è man mano esteso a quello psicosensoriale, categoriale e, non ultimo, creativo."
Con queste parole esordisce il libro Il lungo treno di John Cage, scritto da Inkyung Hwang ed edito da ObarraO edizioni. Nata a Seoul, vive e lavora a Milano. L'autrice si è laureata in Lingua e Letteratura italiana presso la Hankuk University Foreign Studies di Seoul (1984) e in Letteratura Italiana presso l’Università di Firenze (1989). Ha conseguito il diploma di laurea in Scultura (2004) e il diploma di laurea in Nuove Tecnologie per l’Arte (2007) presso l’Accademia di Brera di Milano e il Dottorato di ricerca in Storia dell’Arte all’Università Cà Foscari di Venezia (2017). Ha inoltre tenuto numerose mostre personali e collettive in prestigiose sedi espositive in Italia e in Europa, in cui ha esposto sculture, installazioni, video e performance, anche con diversi riconoscimenti e premi. I temi principali dei suoi lavori sono tempo, sospensione, leggerezza, suono e rumore.
Con Il lungo treno di John Cage, Inkyung Hwang intende indagare l'interazione tra arte e musica prendendo in considerazione le avanguardie del novecento. Partendo da Kandinsky e Schönberg e seguendo con passione le tracce di Duchamp, l'autrice approda alla figura di John Cage, da lei considerato "uno dei maggiori innovatori della musica contemporanea, fulcro e locomotiva di questo libro", e lo mette in relazione al movimento artistico Fluxus, che ha sovente utilizzato elementi musicali nelle sue opere. Giunge infine a Nam June Paik, padre della videoart, "le cui applicazioni tecnologiche all'arte e alla musica elettronica hanno lasciato un'impronta non trascurabile sulla musica in generale".
Con sguardo minimalista, in linea con i principi di Fluxus, l'autrice disegna, attraverso gli incontri e le amicizie tra i vari autori, il ritratto appassionante di un'epoca e dei suoi protagonisti. Siamo dunque tutti invitati a salire sul treno di John Cage, motore ideale di un veicolo immaginario che raccoglie e trasporta chi è pronto a partire per l'emozionante avventura dell'arte, della musica e della vita.
Buona lettura!
domenica 5 dicembre 2021
Le scale musicali al pianoforte: scala di MI BEMOLLE minore
E concludiamo questo ciclo introduttivo sulle scale minori al pianoforte con la scala di MI BEMOLLE minore. La tonalità di MI BEMOLLE minore è relativa di quella di SOL BEMOLLE maggiore, pertanto presenta come alterazioni in chiave il SI, il MI, il LA, il RE, il SOL e il DO bemolle. Possono però essere previste altre alterazioni momentanee nella scala armonica (fa bequadro) e in quella melodica (mi bequadro e fa bequadro). La scala di MI BEMOLLE minore è enarmonica della scala di RE DIESIS minore, relativa di FA DIESIS maggiore, che presenta sei diesis in chiave (FA, DO, SOL, RE, LA, MI diesis). Anche in questo caso possono essere presenti alterazioni momentanee per la scala armonica (do doppio diesis) e melodica (si diesis e do doppio diesis). La diteggiatura della scala di MI BEMOLLE minore (RE DIESIS minore) è la seguente: mano destra, 21234123 a salire, 32143212 a scendere; mano sinistra, 21432132 a salire, 23123412 a scendere.
TESTI CONSIGLIATI:
TESTI CONSIGLIATI:
- Vincenzo Mannino, Le scale, Edizioni Curci.
- Tommaso Alati, Le scale per pianoforte, Carisch.
- Luigi Finizio, Le scale, Ricordi.
- Pietro Montani, Tutte le scale, Ricordi
Le scale musicali al pianoforte: scala di SI BEMOLLE minore
La tonalità di SI BEMOLLE minore è relativa di quella di RE BEMOLLE maggiore, pertanto presenta come alterazioni in chiave il SI, il MI, il LA, il RE e il SOL bemolle. Possono però essere previste altre alterazioni momentanee nella scala armonica (la bequadro) e in quella melodica (sol bequadro e la bequadro). La scala di SI BEMOLLE minore è enarmonica della scala di LA DIESIS minore, che presenta sette diesis in chiave (FA, DO, SOL, RE, LA, MI, SI diesis). Anche in questo caso possono essere presenti alterazioni momentanee per la scala armonica (sol doppio diesis) e melodica (fa doppio diesis e sol doppio diesis). La diteggiatura della scala di SI BEMOLLE minore (LA DIESIS minore) è la seguente: mano destra, 21231234 a salire, 43213212 a scendere; mano sinistra, 21321432 a salire, 23412312 a scendere.
TESTI CONSIGLIATI:
- Vincenzo Mannino, Le scale, Edizioni Curci.
- Tommaso Alati, Le scale per pianoforte, Carisch.
- Luigi Finizio, Le scale, Ricordi.
- Pietro Montani, Tutte le scale, Ricordi
Le scale musicali al pianoforte: scala di SOL DIESIS minore
La tonalità di SOL DIESIS minore è relativa di quella di SI maggiore, pertanto presenta come alterazioni in chiave il FA, il DO, il SOL, il RE e il LA diesis. Possono però essere previste altre alterazioni momentanee nella scala armonica (fa doppio diesis) e in quella melodica (mi diesis e fa diesis). La scala di SOL DIESIS minore non ha, se non a livello puramente teorico, un'omologa maggiore: tuttavia, essa è enarmonica della scala di LA BEMOLLE minore, che presenta sette bemolle in chiave (SI, MI, LA, RE, SOL, DO, FA bemolle). Anche in questo caso possono essere presenti alterazioni momentanee per la scala armonica (sol bequadro) e melodica (fa bequadro e sol bequadro). Confronteremo dunque la diteggiatura prendendo a modello l'omologa di la bemolle maggiore. Le differenze driscontrabili sono le seguenti: mano destra, 34123123 a salire, 32132143 a scendere (è possibile comunque iniziare con 23 al posto di 34); mano sinistra, 32132143 a salire, 34123123 a scendere (anche in questo caso però si può concludere la scala con 23 al posto di 34). Tuttavia, è bene precisare che, per quanto riguarda la mano sinistra, questa diteggiatura può risultare scomoda se applicata alla scala minore armonica: in questo caso è possibile utilizzare un'altra diteggiatura che contiene una piccola variante, cioè 32143213 a salire e 31234123 a scendere (è possibile però concludere anche con il 2.
TESTI CONSIGLIATI:
TESTI CONSIGLIATI:
- Vincenzo Mannino, Le scale, Edizioni Curci.
- Tommaso Alati, Le scale per pianoforte, Carisch.
- Luigi Finizio, Le scale, Ricordi.
- Pietro Montani, Tutte le scale, Ricordi
Le scale musicali al pianoforte: scala di DO DIESIS minore
La tonalità di DO DIESIS minore è relativa di quella di MI maggiore, pertanto presenta come alterazioni in chiave il FA, il DO, il SOL e il RE diesis. Possono però essere previste altre alterazioni momentanee nella scala armonica (si diesis) e in quella melodica (la diesis e si diesis). La diteggiatura presenta alcune differenze rispetto all'omologa maggiore e precisamente: mano destra, 23123412 a salire, 21432132 a scendere; mano sinistra, 32143212 a salire, 21234123 a scendere. Tuttavia, è bene precisare che, per quanto riguarda la mano destra, questa diteggiatura può risultare scomoda se applicata alla scala minore armonica: in questo caso è possibile utilizzare un'altra diteggiatura che contiene una piccola variante, cioè 23123123 a salire e 32132132 a scendere.
TESTI CONSIGLIATI:
- Vincenzo Mannino, Le scale, Edizioni Curci.
- Tommaso Alati, Le scale per pianoforte, Carisch.
- Luigi Finizio, Le scale, Ricordi.
- Pietro Montani, Tutte le scale, Ricordi
Le scale musicali al pianoforte: scala di FA DIESIS minore
La tonalità di FA DIESIS minore è relativa di quella di LA maggiore, pertanto presenta come alterazioni in chiave il FA, il DO e il SOL diesis. Possono però essere previste altre alterazioni momentanee nella scala armonica (mi diesis) e in quella melodica (re diesis e mi diesis). La diteggiatura presenta alcune differenze rispetto all'omologa maggiore e precisamente: mano destra, 23123412 a salire, 21432132 a scendere; mano sinistra, 43213212 a salire, 21231234 a scendere. Tuttavia, è bene precisare che, per quanto riguarda la mano destra, questa diteggiatura può risultare scomoda se applicata alla scala minore armonica: pertanto, in questo caso è possibile utilizzare un'altra diteggiatura che contiene una piccola variante, cioè 23123123 a salire e 32132132 a scendere.
TESTI CONSIGLIATI:
- Vincenzo Mannino, Le scale, Edizioni Curci.
- Tommaso Alati, Le scale per pianoforte, Carisch.
- Luigi Finizio, Le scale, Ricordi.
- Pietro Montani, Tutte le scale, Ricordi
venerdì 5 novembre 2021
Recensione libri: "Le giornate di un compositore", di Vittorio Zago (ObarraO edizioni)
Come si svolge l'attività quotidiana di un compositore? Quali sono gli interrogativi, i dubbi e le incertezze che la costituiscono? Quale rapporto si instaura tra l'essenza del discorso musicale e l'esistenza da cui scaturisce? Questo libretto si propone di rispondere a queste domande, colmando così la distanza tra il musicista e l'ascoltatore profano.
Vittorio Zago è laureato in giurisprudenza ma ha poi imboccato la via della composizione musicale: diplomato in pianoforte e composizione al conservatorio G. Verdi di Milano sotto la guida di Azio Corghi, si è in seguito perfezionato al Mozarteum di Salisburgo. Affermatosi in diversi concorsi di composizione, molte sue musiche sono state eseguite presso prestigiose società concertistiche in Italia e all'estero.
Come affermato e stimato compositore, oltre che docente di conservatorio, Vittorio Zago ha raccolto la sfida di ridurre il divario fra la sfera della produzione musicale e quella dei destinatari finali, avvicinando il lettore alla produzione artistica di chi ha scelto di intraprendere questa professione attraverso un linguaggio contemporaneo non sempre immediatamente compreso e apprezzato dal grande pubblico. Con il libro Le giornate di un compositore, edito dalla ObarraO Edizioni, egli vuole narrare e approfondire, attraverso un linguaggio volutamente non tecnico-musicale, quell'evoluzione personale che il suo "pensare" la musica ha subito nel corso degli anni.
Il compositore-narratore si rivolge così all'ascoltatore-lettore e, con lui, si imbatte, non senza stupore, in nuove direzioni a partire dalle quali il discorso musicale si costruisce e decostruisce in partitura. Discipline della contemporaneità sono chiamate a indagare la singolarità di un gesto artistico qual è quello musicale, che può ricomprendere componenti di rigorosa organizzazione e di pura casualità, di astrazione e di estrema concretezza.
Un rigoroso pensiero musicale si coniuga dunque con la sorgente personale della fantasia: in tal modo si affacciano interrogativi, scoperte, dubbi e gioie che danno valore e senso al gesto del comporre e invitano a entrare in intimità con l'appassionante mondo di un musicista.
Buona lettura!
venerdì 27 agosto 2021
Beethoven e Rossini: un incontro storico
[Di Beethoven], Rossini aveva letto alcuni spartiti [...] e, poco dopo il suo arrivo a Vienna [nel 1822], aveva ascoltato la Terza Sinfonia per la prima volta. "Quella musica mi sconvolse" disse poi.
Rossini desiderava incontrarlo, ma gli dissero che Beethoven era un misantropo: gli assicurarono che sarebbe stato inutile chiedere di fargli visita, perché era così sordo da non poter sostenere alcuna coversazione. Rossini perseverò. Voleva incontrare il compositore la cui musica rabbiosa e aggressiva sembrava spezzare i confini del neoclassicismo. [...]
Rossini cercò di incontrare Beethoven, ma non ebbe risposta diretta; invece di risentirsi, cercò di capire: "Ebbi un solo pensiero: conoscere quel grande genio, vederlo, fosse pure una sola volta". Il primo intermediario a cui Gioachino si rivolse fu il signor Artaria, l'editore tanto suo che di Beethoven, ma il tentativo andò a vuoto. Poi si rivolse ad Antonio Salieri, il compositore che aveva dominato la scena musicale di Vienna nonostante la presenza di Mozart. Beethoven respinse anche la richiesta di Salieri. Infine, fu Giuseppe Carpani, uno dei primi biografi di Haydn, che condusse Rossini su per le traballanti scale di legno della casa di Beethoven, nella vecchia Schwarzspanierhaus. Beethoven si era barricato in una stanza sudicia, decorata da ragnatele. Era accudito da una governante che preparava un po' di cibo per quell'uomo cupo e poi spariva, lasciandolo trascurato, con i capelli unti e spettinati. Quando Beethoven usciva in strada, parlava ad alta voce ed era ossessionato da pensieri di morte; suo nipote si vergognava di lui. Tossiva, sputava in un fazzoletto per vedere se c'era del sangue; in effetti, era malato di tubercolosi, la malattia che aveva ucciso sua madre.
[...] Beethoven era al corrente della presenza di Rossini a Vienna. A Theophilus Freudenberg, un compositore che gli aveva chiesto un'opinione sulla musica di Rossini, aveva scritto: "È la traduzione dello spirito frivolo e voluttuoso che caratterizza la nostra epoca, ma Rossini è un uomo di talento e un eccezionale autore di melodie. Scrive con una tale facilità che impiega settimane per la composizione di un'opera laddove un tedesco impiegherebbe anni". Così il tormento romantico del settentrionale stava nel paragonarsi all'immaginaria disinvoltura solare di quel mondo mediterraneo che gli sfuggiva. Del resto, il fatto che Beethoven non abbia infine rifiutato di incontrare la sua apparente antitesi, suggerisce che l'indomito gigante riconosceva Rossini come suo pari. Beethoven, che presto avrebbe scritto i suoi ultimi cinque quartetti d'archi, l'apice della sua gloria, era stato istruito dai compositori che più Rossini ammirava: Haydn e Mozart. Al contrario di Rossini, componeva lentamente riesaminando in continuazione il proprio processo creativo. Aveva mecenati e amici, ma anche molti nemici.
Rossini fu profondamente commosso dallo squallore dell'alloggio di Beethoven. Notò che c'erano persino delle crepe sul soffitto. Il "van" aggiunto stupidamente al nome di famiglia per darsi un'aria aristocratica era smentito dai tratti contadini di Beethoven, ma la nobiltà interiore la si percepì quando lesse le domande rivoltegli da Rossini. Dietro il tavolo presso il quale Beethoven sedeva c'era il pianoforte a coda, uno dei migliori dell'epoca, costruito per lui da Conrad Graf. Lo strumento era già a pezzi, e le corde rotte. Sul tavolo, Rossini vide i cornetti acustici e i libri di conversazione nei quali i pochi visitatori che osavano andare a trovarlo scrivevano le domande quando egli non ci sentiva o non voleva sentire. C'erano un po' di monete sparse, diverse penne d'oca, una tazza da caffè rotta e il suo candelabro d'ottone, una statuetta di Cupido dalla forma neoclassica. Rossini, in seguito, descrisse quell'ncontro non solo a Wagner, ma anche a Hiller e Hanslick: "[...] I ritratti che conosciamo di Beethoven rendono nell'insieme abbastanza bene la sua fisionomia: ma quel che nessun bulino saprebbe esprimere è l'indefinibile tristezza che tutti i suoi lineamenti mutava, mentre sotto le folte sopracciglia brillavano, come nel fondo di caverne, occhi che quantunque piccoli, pareva che vi ferissero. La voce era dolce e alquanto velata. Quando entrammo era intento a correggere alcune bozze di musica. 'Ah! Rossini,' mi disse 'siete voi l'autore del Barbiere di Siviglia? Ve ne faccio i miei rallegramenti: è un'eccellente opera buffa. Essa si rappresenterà fino a tanto che esisterà un'opera italiana. Non cercate di far altro che opere buffe: voler riuscire in altro genere sarebbe far forza alla vostra natura'."
Rossini non avrebbe mai dimenticato questo appunto, alludendovi anche quando meditava sulla morte: dedicò scherzosamente i suoi ultimi lavori a Dio, ma ripeté anche l'affermazione di Beethoven; in altre parole, solo Dio e Beethoven potevano sapere che Rossini non era destinato alla musica seria. Egli, ironicamente, sottintendeva che tutti e due avevano torto. Io sono d'accordo con Rossini.
Carpani, che aveva preparato Beethoven all'incontro inviandogli gli spartiti di diverse opere serie, comprese Tancredi, Otello e Mosè, glielo ricordò. Beethoven rispose: "In effetti le ho scorse, ma vedete, l'opera seria non fa parte della natura italiana. Per trattare un vero dramma, non hanno abbastanza dottrina musicale e del resto come potrebbero acquisirla in Italia? Nell'opera buffa nessuno saprebbe eguagliare voi italiani. La vostra lingua e la vivacità del vostro temperamento si destinano ad essa. Guardate [...] Pergolesi. [...] Nel suo Stabat Mater, ne convengo, vi è sentimentro assai toccante; ma la forma vi manca di varietà [...], l'effetto è monotono, mentre la Serva Padrona..."
Rossini ricordò poi di aver espresso la sua "profonda ammirazione per il suo genio, e tutta la mia gratitudine per avermi dato l'opportunità di esprimergliela". Quanto era stato modesto - e grande - da parte di Rossini non risentirsi e, invece, rendere omaggio al grande Beethoven. E come si sbagliava Beethoven anche a proposito di Pergolesi: il suo Stabat Mater è un capolavoro e ha dimostrato di resistere di più, nel tempo, de La Serva Padrona. Mentre Rossini scriveva sull'apposito quadernetto, servendosi di una di quelle penne d'oca che aveva visto sul tavolo, parole d'ammirazione - Beethoven capiva l'italiano, anche se Rossini avrebbe potuto essere messo alla prova sul tedesco che aveva imparato da poco - il grand'uomo rispose con un profondo sospiro e con la semplice frase: "Oh, un infelice!". Carpani, Beethoven e Rossini rimasero tutti e tre silenziosi per qualche tempo. Cosa pensava il compositore tedesco del trentenne Rossini, corpulento e vestito elegantemente? Beethoven ruppe il silenzio chedendo notizie sulla situazione della musica in Italia. Le opere di Mozart vi erano rappresentate? Se sì, quanto spesso? Proseguì facendo gli auguri a Rossini per la sua imminente Zelmira e poi annunciò che la visita era durata abbastanza. Accompagnando alla porta il compositore più giovane e Carpani, mormorò: "Ricordatevi di darci tanti Barbiere".
Un senso di profonda tristezza invase Rossini mentre scendeva le scale. Poiché aveva raggiunto la sicurezza economica, era ancor più colpito dalla povertà di Beethoven e si ritrovò a piangere copiosamente e rumorosamente. Carpani provò a consolarlo, sottolineando che Beethoven doveva rimproverare soltanto se stesso per il proprio isolamento. Ma Rossini non riusciva a cancellare dalla mente la tristezza espressa dalle parole sussurrate in italiano: "un infelice".
La sera stessa, a una cena offerta dal principe Metternich, Rossini descrisse quell'esperienza [...] [e p]rovò a convincere alcuni membri di quella società a garantire un vitalizio a Beethoven, ma nessuno lo ascoltò. Anche se a Beethoven fosse stata offerta una sistemazione adeguata, gli risposero, l'avrebbe abbandonata: faceva così ogni sei mesi. Quanto alla sua servitù, la licenziava ogni sei settimane. [...] Al ricevimento che seguì era presente tutta l'alta società viennese. "Nel programma figurava uno dei trii che Beethoven aveva pubblicato di recente [...], il nuovo capolavoro fu ascoltato con fervore religioso," affermò Rossini. Com'era possibile, si chiedeva, che il mondo apprezzasse la musica di Beethoven, eseguita in luoghi tanto lussuosi, mentre l'uomo che l'aveva composta viveva in totale squallore?
[...] Rossini non rinunciò al tentativo di raccogliere denaro per aiutare Beethoven. Alcune settimane più tardi aprì una seconda lista di sottoscrizione con il suo nome. Di nuovo, i viennesi non ne vollero sapere. Sebbene Rossini stesso non ne faccia menzione, una visita successiva è documentata nell'autobiografia di Anton Graeffer: "Io stesso portai Rossini da lui quando viveva in Kaiserstrasse. Nonostante il pubblico propendesse per questo italiano più che per tutti gli altri compositori del mondo, Beethoven lo abbracciò ripetutamente e gli dimostrò, con affetto fraterno, di apprezzare molto il suo talento."
Rossini certamente incontrò Beethoven più di una volta, se non altro per portargli i fondi raccolti. L'accoglienza descritta da Graeffer è ben diversa da quella che Rossini rievocò in seguito, quando ne parlò a Wagner. Non è sorprendente che nei ricordi di Rossini la visita con Carpani rimanga la più importante, perché era stata la prima.
[...] Rossini era [...] ossessionato dall'immagine di Beethoven, il cui genio era legato al suo temperamento cupo e alla rabbia che provava per la società; Beethoven non componeva per compiacere o per sottomettersi al gusto altrui. Forse fu dopo questo confronto che Rossini pensò di non aspirare più al consenso: capì che, avendo composto così tanto e con enorme successo, era sempre stato al servizio degli altri. La musica si stava muovendo in direzione opposta, [...] doveva turbare e provocare: questo stava facendo Beethoven, e questa era la ragione della disapprovazione insita nell'etichettare Rossini come un compositore di opera buffa. Ma anche Beethoven concepiva l'opera buffa come satira, e le autorità lo sapevano. Il pubblico odierno individua troppo di rado i caustici giudizi critici dissimulati nell'opera buffa, specialmente in quella di Rossini. La sua opera buffa era spiritualmente critica nei confronti della società, e questo spiega perché sia ancora così divertente. [...]
Se fosse stato scontroso e arrabbiato, invece che arguto e mondano, se si fosse chiuso in un tugurio e avesse scritto musica che si scagliava contro l'ordine costituito, forse anche Rossini sarebbe stato respinto dalla società. Come i suoi predecessori, ma diversamente da Beethoven, Rossini si avvicinava alla composizione in primo luogo per guadagnarsi da vivere: era un lavoro come un altro. Nell'era romantica, quell'atteggiamento non era più possibile. L'altisonante esordio di Beethoven aveva spalancato i cancelli del Romanticismo. Il romanticismo esisteva già - come termine e certamente anche come concetto - al momento della visita di Rossini a Beethoven. Persino la malattia e la povertà (La Sonnambula di Bellini, La Traviata di Verdi) sarebbero diventati temi romantici, e tuttavia Gioachino Rossini aveva già sfiorato quei soggetti con una servetta accusata di furto, con un moro annientato dalla gelosia o con l'amore non corrisposto sullo sfondo dei laghi scozzesi. La libertà musicale che Beethoven aveva scelto lo aveva ridotto in povertà e quella era una condizione che Rossini rifuggiva: anche la semplice possibilità lo terrorizzava.
mercoledì 21 luglio 2021
Recensione Libri: "L'avvocato di Madama Butterfly", di Giorgio Fabio Colombo (ObarraO edizioni)
"Madama Butterfly. Una tragedia giapponese" è un'opera tra le più celebri e apprezzate, che ancor oggi, a più di cento anni di distanza dalla sua prima rappresentazione, attira folle non solo di melomani. Ma la Madama Butterfly ha avuto - e ha tuttora - un ruolo molto importante nel veicolare, presso il pubblico occidentale, una forte immagine del Giappone, inteso come luogo lontano, esotico, misterioso. La combinazione della qualità musicale e della potenza immaginifica rendono questo melodramma un poderoso oggetto culturale, capace di risvegliare nello spettatore fantasie di terre distanti, di donne esotiche, di amore, sofferenza.
Al di là delle suggestioni esotiche, tuttavia, la trama è incentrata su una serie di aspetti legali che si prestano a una lettura di tipo giuridico. In base a quale diritto va analizzato il matrimonio fra Pinkerton e Chocho-san? Poteva Pinkerton divorziare unilateralmente con il semplice abbandono della sposa e sposare una donna americana? E che ne è, giuridicamente parlando, del figlio nato dalla loro unione?
L'autore di L'avvocato di Madama Butterfly, Giorgio Fabio Colombo, è professore associato di Diritto comparato presso la facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Nagoya in Giappone. Avvocato in Milano e dottore di ricerca all'Università di Macerata, ha lavorato all'Università "Ca Foscari" di Venezia, a quella di Genova-Imperia, a quella di Pavia e alla Ritsumeikan di Kyoto. Ha all'attivo pubblicazioni in tema di contenzioso internazionale, di diritto giapponese e in merito al rapporto tra diritto e letteratura.
Risentendo della formazione di chi scrive, questo breve ma interessante saggio, edito da ObarraO Edizioni ha come principale obiettivo quello di rispondere alle questioni di diritto internazionale e comparato che vengono messe in luce dal libretto di Madama Butterfly e dalle fonti che ne sono state il fondamento, sollecitando con molteplici spunti la curiosità del melomane e dell'appassionato di storia e civiltà giapponese.
Buona lettura!
giovedì 3 giugno 2021
Le strategie audiovisive di Miyazaki Hayao e Hisaishi Joe in "Si alza il vento"
[...] Miyazaki si presenta come autore dalla spiccata coerenza stilistica, con ricorrenti predilezioni per certi elementi visivi e narrativi. Anche se tali elementi hanno diversi gradi d'importanza in ciascuno dei suoi film, il loro sfruttamento conscio e costante rimane evidente. [...] Hisaishi ha risposto a tale stile stratificato enfatizzando una delle sue pià tipiche attitudini artistiche: la creazione di un cospicuo numero di lunghe e memorabili melodie. Come ha notato Alexandra Roedder, "Le lunghe e trascinanti melodie di Hisaishi sono così strettamente associate al suo nome e al suo stile che [...] il termine 'Hisaishi melody' è diventato un modo di dire in Giappone". [...] Nella maggior parte dei casi, esse non hanno una funzione di leitmotiv: ovvero, non sono recolarmente associate a precisi elementi ricorrenti della narrazione [...]. Esordiscono invece, di preferenza, quando una scena statica o descrittiva permette di ascoltarle per intero. In conseguenza di ciò alcune di tali melodie, nonostante il loro alto potenziale comunicativo, appaiono verso la fine del film, quando si presentano opportune scene contemplative [...]. La densità melodica risultante da tale strategia può essere considerata un buon contraltare della complessità espressa da Miyazaki attraverso trame e personaggi.
Le "Hisaishi melody", tuttavia, non completano lo stile di Miyazaki solo mediante abbondanza e molteplicità, ma anche in forza di un principio drammaturgico legato alla loro ripetizione. Molti brani musicali rilevanti per i film di Miyazaki includono una costante melodica o sono costruiti attorno a essa: un motivo di quattro note discendenti [una sorta di tetracordo], il cui profilo è sempre definito dalla successione di intervalli di seconda minore, seconda maggiore e ancora seconda maggiore. [...] Tale motivo appare di preferenza quando una sequenza ha a che fare con il volo. Il verso discendente delle quattro note sembra commentare il particolare senso che Miyazaki dà a tale atto: una condizione umana straordinaria ma temporanea, in grado di offrire una differente prospettiva sulla vita, prima di tornare al suolo, ovvero di discendere - come il motivo - verso una nuova consapevolezza di ciò che significano dovere e responsabilità. [...] Le "Hisaishi melody" sono legate allo stile di Miyazaki come ampie unità, ma anche in virtù delle loro componenti più minute. È utile sottolineare brevemente come questo fatto giustifichi l'appartenenza che Hisaishi dichiara al minimalismo musicale, nonostante la sua fama di compositore melodico. [...]
La maniera in cui la relazione tra le parti e il tutto dei brani di Hisaishi è andata definendosi ha però subìto anche l'influsso di alcune consuetudini dell'industria giapponese dell'animazione. In questo contesto produttivo, ai compositori viene spesso richiesta la composizione di un cosiddetto Image Album: un CD da pubblicare alcuni mesi prima di chiudere la produzione del film. [...] Gli Image Album hanno due scopi: sono un remunerativo bene da mettere in commercio, che offre al potenziale pubblico un primo assaggio delle atmosfere sonore dell'opera in arrivo, e sono al tempo stesso un punto di riferimento per il regista, che può così ascoltare la musica mentre esegue il suo lavoro. Comunque, Miyazaki non adatta mai i suoi storyboard alla musica degli Image Album: al contrario è Hisaishi che deve trasformare la musica preliminare in base alla visione del regista. [...]
Si alza il vento, tuttavia, [...] è l'unico film di Miyazaki privo di Image Album. In realtà, non si trattò della prima occasione in cui Hisaishi introdusse dei cambiamenti nel suo modo di lavorare per i film di Miyazaki. [...] Tali cambiamenti possono essere approssimativamente schematizzati in tre fasi successive. La prima fase riguarda un solo film del 1984, Nausicaa della Valle del vento. A quel tempo, Hisaishi era interessato ai timbri dei sintetizzatori e alla musica elettronica in generale: ha ammesso il film come pretesto per sperimentare, non preoccupandosi dunque particolarmente di creare strette sintonie tra la musica e le immagini o il contenuto emotivo delle sequenze. Tuttavia, la musica definitiva [...] fu attentamente adattata al film [con una] frammentazione radicale e talvolta grezza del materiale d'origine, che tuttavia divenne efficace punteggiatura alla narrazione di Miyazaki [...]. La seconda fase comprende tutti i film da Laputa - Castello nel cielo a La città incantata inclusi. Qui, l'uso per accumulazione delle "Hisaishi melody" è rilevante, così come l'uso espressivo del motivo discendente [...]. Infine, la terza fase si inauguro con Il Castello errante di Howl (2004): Hisaishi abbracciò allora uno stile di musica per film che egli stesso definì più "internazionale", per quel che riguardava l'orchestrazione e l'utilizzo di funzioni di leitomtiv. Il motivo di quattro note cessò di essere impiegato e le musiche si presentavano decisamente più indipendenti dagli Image Album. [...] Nonostante questo, forse a causa della lunga abitudine all'arrangiamento reiterato di medesimi brani nel passaggio dagli Image Album ai film, Hisaishi sembrò far coincidere la funzione di leitmotiv con il concetto di variazione, inteso non solo come tecnica ma anche come forma musicale. [...]
Le strategie audiovisive di Si alza il vento non contraddicono le tendenze generali della "terza fase", visto l'uso evidente di funzioni di leitmotiv e di variazioni; tuttavia, tali strategie sembrano anche recuperare alcuni elementi della precedente maniera audiovisiva di Miyazaki e Hisaishi, quasi a rimarcare come il film costituisca un addio al termine di una lunga carriera. [...] Per quanto riguarda le funzioni di leitmotiv, è possibile identificare almeno quattro melodie chiaramente intese come segnali di uno specifico personaggio. [...] Hisaishi impiega le melodie dei personaggi per sottolineare le loro reciproche relazioni narrative. Il compositore raggiunge tale risultato costruendo l'inizio di ciascuna melodia sulla base di una mutazione delle altre.
La melodia che sembra essere fonte originaria delle altre tre [...] è quella di Jirou. Si tratta della prima musica che accoglie lo spettatore all'inizio del film, ed è inoltre un riferimento al protagonista della storia. [...] Le prime quattro note del tema di Jirou [...] sono la cellula che Hisaishi usa per generare le altre melodie destinate a funzioni di leitmotiv. La successione di intervalli tra le note segue lo schema seconda maggiore, seconda maggiore, quarta giusta. A volte Hisaishi aggiunge una nota di volta, per dare maggiore enfasi, in alcune ripetizioni del motivo [...]. Non si tratta del tipico motivo di quattro note di Hisaishi: tuttavia, anche esso è discendente. Nel film, Horikoshi Jirou vede gli aeroplani come splendidi sogni [...] Le macchine volanti che costruisce, tuttavia, sono usate da altri uomini per atti di guerra. Jirou deve dunque affrontare questa contraddizione e trovare la forza di conviverci. [...]
La melodia attribuita a Caproni è una marcia dal carattere baldanzoso e solenne al tempo stesso; il suo inizio, dopo la prima nota, si presenta come rovesciamento speculare quasi perfetto del motivo di Jirou. [...] La tonalità è differente (fa diesis maggiore [contro] sol maggiore), ma la successione di intervalli, tranne che per la prima nota (alterata di un semitono ascendente, poiché si tratta della sensibile di fa diesi maggiore; quindi è un mi diesis e non un mi naturale), è totalmente derivabile dal motivo di Jirou in virtù di una semplice inversione melodica, sino all'ultimo salto di quarta giusta, che qui diventa ascendente. [...] Il risultante senso di "ascesa" e "sollevamento" che trasmette la melodia di Caproni è sicuramente opportuno, visto che il personaggio è il mentore che incita Jirou a dare tutto se stesso per realizzare i suoi sogni, affrontandone però le conseguenze. [...]
L'inzio della melodia di Castorp, carica di misteriosi presagi, è di nuovo una trasformazione del motivo di Jirou. [...] Hisaishi modifica la tonalità dal modo maggiore a quello minore (sol minore) e altera la successione delle note: il si-la-sol-re originale diventa re-si bemolle-la-sol. [...] Nonostante la sua apparizione relativamente breve, Castorp ricopre un ruolo importante, fungendo da confidente e poi da coadiuvante nel far nascere la relazione fra Jirou e Nahoko, e introducendo inoltre nel film una prospettiva pessimistica ma ragionevole sul futuro del Giappone, in vista della Seconda Guerra Mondiale. [...] Il suo atteggiamento enigmatico e contraddittorio è ben restituito dalla musica: la melodia di Castorp non ascende in modo netto, ma piuttosto si "inerpica" verso l'alto. Essa è fatta di frammenti discendenti connessi da salti ascendenti. Dopo il minaccioso motivo iniziale, che anche nel suo tragico senso di immobilità (è sostenuto da un pedale di sol) potrebbe alludere alle più tristi implicazioni legate al nome del personaggio, la musica si fa malinconica e sospinta da un'armonia più mobile.
Il caso della melodia di Nahoko è più complesso. La ragazza che si sacrifica per far si che il sogno di Jirou si realizzi, e il cui luminoso ricordo svanisce mentre Jirou sopravvive a lei e agli aeroplani splendidi e maledetti, è associata a un brano languido, che nasce ancora dal motivo di Jirou, benché nella sua variante ampliata con nota di volta. [...] La trasformazione è nuovamente basata su un'inversione melodica, come nel motivo di Caproni: manca, tuttavia, il salto finale di quarta giusta. Dunque, il motivo ascende: ciò ha senso, poiché Nahoko fa da positivo complemento e supporto alla vita di Jirou. [...] Anche se il suo motivo generatore è ascendente, comunque, su scala più grande la melodia di Nahoko discende. Ciò accade, per giunta, in maniera degna d'attenzione: il profilo denerale dell'elemento musicale è una citazione quasi letterale della melodia che accompagna i titoli di testa di Laputa - Castello nel cielo, il primo film prodotto dallo Studio Ghibli [...]. In aggiunta a ciò, quella particolare melodia è definita nel suo profilo dal motivo di quattro note discendenti che Hisaishi ha ampiamente utilizzato nei film di Miyazaki precedenti Il castello errante di Howl. [...]
Le possibili interpretazioni audiovisive della melodia di Nahoko sono almeno due. Per prima cosa, la musica parrebbe essere pensata per commentare i ruoli narrativi di Nahoko quale aiutante di Jirou e, al tempo stesso, compartecipe del suo destino. [...] Il motivo che definisce l'andamento melodico [è], appunto, inversione del motivo discendente di Jirou; vencono dunque chiamate in causa accezioni di significato legate a complementarietà e interdipendenza. Complessivamente, però, il profilo completo della melodia si presenta discendente, proprio come il motivo di Jirou. [...] La seconda interpretazione della melodia di Nahoko si connette alla maniera audiovisiva sviluppata da Miyazaki e Hisaishi attraverso gli anni [...]. La citazione quasi letterale del tema proveniente da Laputa - Castello nel cielo, con il suo motivo di quattro note, suona come un omaggio al pensionamento di Miyazaki: una ricapitolazione finale del "paesaggio sonoro" presente nei "classici" dell'autore e in particolare nella prima produzione Ghibli, che tanto ha contribuito a definire lo stile di tale Studio. Inoltre, il tema è associato a Nahoko, la quale dà corpo a uno degli archetipi preferiti del regista: l'eroina forte, giovane e altruista. [...]
Non tutta la musica di Si alza il vento nasce dalle quattro melodie [...]. Un quantitativo non trascurabile di brani ha indipendenza tematica, del tutto paragonabile a quella di brani ha indipendenza tematica, del tutto paragonabile a quella di brani separati provenienti da un Image Album. Coerentemente con ciò, tali composizioni appaiono solo una volta, "accumulandosi" lungo la storia, pur avendo forte caratterizzazione melodica. [...].
In conclusione, le principali funzioni audiovisive di Si alza il vento imbastiscono una rete di corrispondenze tra personaggi, melodie e ruoli narrativi. Ciò è in buona sintonia con le tendenze audiovisive presenti nei film di Miyazaki e Hisaishi dopo Il castello errante di Howl. Tuttavia, Si alza il vento si distingue anche in quanto omaggio audiovisivo alla collaborazione tra il musicista e il regista, recuperando dal passato idee melodiche e strategie, senza perdere comunque di vista le necessità contingenti del film di Miyazaki che avrebbe dovuto costituire l'ultimo atto di una carriera. La porta lasciata socchiusa da Miyazaki alla realizzazione di cortometraggi si è infine spalancata su un nuovo lungometraggio, che forse tornerà a mettere in discussione il cammino audiovisivo sin qui compiuto, oppure troverà una differente maniera poetica per congedarsi dal proprio pubblico. Come si dice spesso nei dialoghi di Si alza il vento, dunque, "Il vento soffia ancora"; non è affatto caduto. Forse, piuttosto, è cambiato.
(tratto da "Il vento è cambiato. Le strategie audiovisive di Miyazaki Hayao e Hisaishi Joe in Si alza il vento", di Marco Bellano, saggio contenuto nel volume I mondi di Miyazaki - Percorsi filosofici negli universi dell'artista giapponese, a cura di Matteo Boscarol e pubblicato da Mimesis Edizioni per la collana Il caffè dei filosofi)
martedì 18 maggio 2021
Edizioni musicali: Preludio a orchestra SC 1 di Giacomo Puccini (Carus Verlag)
Il Preludio a Orchestra di Giacomo Puccini fu portato a termine a «Lucca, adì 5 agosto 1876» (come recita una nota dell'autore nell'ultima pagina) ed occupa il primo posto nel catalogo delle sue opere. Il brano venne desrcito per la prima volta in un articolo nel 1959, quando l'ultimo proprietario noto dell'autografo, il collezionista Natale Gallini, ne produsse in facsimile l'ultima pagina. Dopo la morte di Gallini nel 1983, i manoscritti in suo possesso vennero ceduti e del preludio si persero le tracce, fino a quando non fu acquistato dal Comune di Lucca presso un collezionista anonimo nel 1999. La grafia ordinata lascia pensare a un lavoro destinato a un concerto, di cui però non si trova riscontro nei documenti d'epoca; pertanto la prima esecuzione in tempo moderni (1999) fu anche la prima assoluta dell'opera.
Purtroppo l'autografo in copia calligrafica (fonte unica del lavoro editoriale) ci è pervenuto mutilo di un foglio. La presente edizione critica, pubblicata da Carus Verlag, comprende la ricostruzione della parte mancante, realizzata da Wolfgang Ludewig. Grazie alle dodici battute inserite (da 29a a 29l) essa offre per la prima volta la possibilità di ricavare una valida impressione dello sviluppo completo del primo tema, fino alla ripresa di b. 30.
Nonostante la lacuna, il brano offre un'occasione preziosa per apprezzare le doti di Puccini studente, allora diciassettenne, che aveva conosciuto appena quattro mesi prima il mondo del grande melodramma assistendo a una recita di Aida a Pisa. Il breve brano non è un capolavoro, né sarebbe lecito attenderselo da un compositore alle prime armi e per giunta non dotato di talento precoce. Tuttavia l'impianto formale propone qualche ingegnosità, in termini di riprese e di giochi tematici che intrecciano le sezioni in cui si divide.
La qualità delle melodie principali è davvero ragguardevole: se nel mesto preregrinare del motivo iniziale in minore si può già riconoscere il potenziale autore di Manon Lescaut, anche l'orchestrazione e l'armonia, sovente intrisa di cromatismi pungenti, riservano più di una lieta sorpresa. Ma soprattutto è rimarchevole la tendenza, che Puccini ampiamente dimostra in queste pagine, a mettere da parte le strutture convenzionali per sperimentare nuove soluzioni.
Questo preludio dimostra come Puccini, ancora privo di contatti teorici e pratici con la grande musica italiana ed europea, avesse doti naturali, e del tutto peculiari, per il trattamento formale e coloristico dell'orchestra, conquista critica di portata notevole.
(Articolo rielaborato dalla Prefazione all'edizione critica del Preludio a orchestra SC 1, Carus Verlag)
domenica 16 maggio 2021
Etimologia dei nomi degli strumenti musicali: CORNO INGLESE
Già conosciuto nel XVIII secolo come sviluppo dell'oboe da caccia barocco, il corno inglese ebbe grande diffusione a partire dal XIX. Si tratta di un oboe contralto, tagliato una quinta sotto rispetto a quello ordinario, ma con caratteristiche costruttive che ne distinguono decisamente il timbro, più rotondo e meno incisivo, da quello del suo fratello più piccolo. Ma che cosa avrebbe di inglese questo strumento da valergli questo nome? In realtà, è molto probabile che l'aggettivo inglese provenga da una errata interpretazione del francese anglé (angolato), che ha la medesima pronuncia \ɑ̃.ɡle\ di anglais (inglese): questo perché, in origine, il corno inglese aveva una forma appunto "angolata". L'errore si è pepetrato nel francese stesso (dove appunto è chiamato tuttora cor anglais) per poi diffondersi nelle altre lingue (ing. english horn, ted. englicshhorn, rus. Английский рожок etc...).
giovedì 15 aprile 2021
Edizioni musicali: tutti gli oratori di Haydn in cofanetto (G. Henle Verlag)
Pubblicato per la prima volta nel 2009, in occasione del bicentenario dalla morte di Franz Joseph Haydn, questo prezioso cofanetto firmato Günter Henle Verlag racchiude in un'unica raccolta tutti e quattro gli oratori del grande compositore austriaco. Oltre al testo musicale, ogni volume contiene una prefazione in tre lingue che riassume le ultime ricerche accademiche e filologiche e un compendio critico a fine volume sulle fonti e le scelte editoriali adottate. Queste "edizioni per lo studio" sono un vero "regalo" per gli occhi e sono concepite e realizzate per durare nel tempo . Con le sue quasi 2.000 pagine, questa edizione fa parte della serie "Study scores" ed è curata nei minimi dettagli in pieno stile "Henle Urtext".
IL RITORNO DI TOBIA
Tutti i grandi intenditori di musica hanno presenti gli ultimi due oratori di Haydn, ma quasi nessuno conosce Il ritorno di Tobia (Hob. XXI: 1), composto circa venticinque anni prima, tra il 1774 e il 1775. Il libretto in lingua italiana venne scelto per assecondare al meglio il gusto del pubblico viennese dell'epoca, avvezzo agli stilemi della scuola napoletana. Il librettista Giovanni Gastone Boccherini trasse il soggetto dal libro di Tobia. La vicenda biblica del pio Tobit, colpito da cecità, e di suo unico figlio Tobia il quale, mandato a riscuotere del denaro presso un parente, dopo alterne vicissitudini e grazie all'aiuto dell'Arcangelo Raffaele, fa ritorno a casa per ridonare la vista al padre, era estremamente celebre nel XVIII secolo. Il libretto di Boccherini, diviso in due parti, si concentra sugli avvenimenti dell'ultimo giorno e riduce i personaggi a cinque, condensazione tipica degli oratori italiani settecenteschi. Tuttavia, nonostante l'impostazione più tradizionale, che lascia spazio a grandiose ed elaborate arie virtuosistiche (presenti anche nelle opere giovanili di Mozart), questa composizione presenta anche importanti caratteristiche peculiari, come la preferenza del recitativo accompagnato rispetto a quello secco (di chiara influenza gluckiana) e un'elaborata scrittura strumentale che già preannuncia le grandi sinfonie e i grandi quartetti della maturità haydniana. Anche il coro, impiegato solo nei punti salienti dell'opera, è trattato però in maniera tanto sapiente da precorrere le grandi messe e gli ultimi due oratori della tarda maturità. La presente edizione "per lo studio" riprende la partitura pubblicata dallo Joseph Haydn-Institut di Colonia. Vi sono riunite la versione originale del 1775, i due cori aggiunti per la ripresa del 1784 e le revisioni apportate da Haydn successivamente. Quest'ultime sono integrate nella partitura originale per quanto possibile e i tagli sono indicati con la dicitura "vide"; solo le varianti più significative e le versioni modificate dei recitativi sono riportate in appendice. Vi sono state integrate anche le indicazioni di scena, ritenute indispensabili per la comprensione dell'intera opera.
LE SETTE ULTIME PAROLE DEL NOSTRO REDENTORE IN CROCE
Più simile ad una lunga cantata che ad un vero e proprio oratorio (poco meno di un'ora circa), Le sette ultime parole del nostro redentore in croce (Hob. XX: 2) rappresentano un tassello curioso all'interno della produzione musicale di Haydn. L'opera venne ricavata infatti nel 1796 da un'altra composizione dotata del medesimo titolo, composta circa dieci anni prima per Cadice: si trattava di un gruppo di piccoli movimenti orchestrali da eseguirsi durante il Venerdì Santo, a commento dei testi biblici relativi alla passione. In seguito, queste composizioni si rivelarono terreno fertile per ulteriori rielaborazioni, tra cui una celebre versione per quartetto d'archi pubblicata da Artaria & Co. nel 1787. Sarà però solo nel 1795 che Haydn, spronato dall'amico barone Gottfried van Swieten, si dedicherà alla propria versione vocale delle Sette ultime parole. Van Swieten aspettava già da tempo, da parte di Haydn, un oratorio in tedesco da eseguirsi durante i concerti organizzati dalla sua « Società dei Cavalieri Associati» («Gesellschaft der Associierten Cavaliere»). Uomo di grande cultura letteraria e molto dotato per le lingue, Van
Swieten, collaborò a stretto contatto con Haydn al testo, che nel frattempo si stava occupando delle modifiche alla strumentazione, con l'aggiunta degli strumenti a fiato. Per i numeri da 1 a 4 non furono necessari molti ritocchi. Ma per i numeri da 5 a 7 Haydn e van Swieten procedettero a modifiche tali che certi massaggi vennero completamente riscritti a parte e incollati sui fogli originari. Per la revisione del testo, si servirono del poema La morte di Gesù (Der Tod Jesu, 1754) di Karl Wilhelm Rammler. Sei numeri sono preceduti da un breve movimento a cappella dove sono riportati i passaggi del vangelo a cui i numeri musicali fanno da commento. Il numero 5, invece, è introdotto da un ampio movimento esclusivamente strumentale interamente assegnato agli strumenti a fiato. Non solamente questa seconda introduzione arricchì l'opera di nuove sonorità, ma favorì la separazione dell'oratorio in due parti, così da poter occupare una serata intera. La prima esecuzione delle Sette ultime parole ebbe luogo il 26 marzo 1796 davanti al pubblico scelto della "Associazione dei cavalieri". Quest'opera, salutata con entusiasmo dai suoi contemporanei rivestì visibilmente un carattere particolare anche per il suo autore, che ebbe ad affermare: « L’effetto di quest'opera ha superato tutte le aspettative» Quando, nell'estate 1800, Haydn propose l'oratorio dall'editore Breitkopf & Härtel, quest'ultimo non esitò a qualificarlo una delle migliori opere del compositore austriaco. A seguito dell'immenso successo della Creazione, che era stata appena pubblicata, l'editore accettò con entusiasmo e fece comparire la partitura nel 1801. La presente edizione "per lo studio" riprende la partitura pubblicata nell'Edizione Completa a cura della Joseph Haydn-Institut: una lista e una breve descrizione delle fonti principali e delle scelte editoriali sono raccolte nei commenti a fine volume.
LA CREAZIONE
Quando Haydn fece ritorno a Vienna dopo il suo secondo soggiorno in Inghilterra nel 1795, egli portò con sé un libretto che sarebbe divenuto la base di partenza di una delle sue opere più celebri: l'oratorio La Creazione (Hob. XXI: 2). Profondamente colpito dalla grandiosità della musica di Georg Friedrich Händel, che aveva avuto modo di sentire dal vivo all'abbazia di Westminster in occasione delle «Commemoration festivals» tenutesi in suo onore, e dall'immediatezza che essa esercitava ancora dopo decenni dalla sua morte sul pubblico, pare che Haydn abbia confidato a un amico di voler « comporre un'opera di questo genere». In effetti, il compositore austriaco ricevette presto da Johann Peter Salomon, il suo impresario per l'Inghilterra, un libretto adeguato in inglese. Oltre alla Genesi e a vari salmi della Bibbia, le principali fonti di questo testo, di autore ignoto ed ora perduto, erano Paradiso Perduto di John Milton e il grande poema in versi sulla natura di James Thomson Le Stagioni. Al suo ritorno definitivo dall'Inghliterra, Haydn consegnò il libretto all'amico van Swieten che si occupò di redigere la versione in tedesco. Egli predispose però la scansione ritmica del testo in modo tale da potersi riadattare perfettamente alla versione inglese originaria. Fortemente ispirato alla tradizione corale inglese ed haendelliana nello specifico, la Creazione si rivelò un'opera adatta sia al gusto del pubblico inglese sia di quello tedesco. La prima esecuzione avvenne a Vienna il 30 aprile del 1798 ed ebbe un tale successo da avere un'eco smisurata anche nel secolo successivo. La presente edizione "per lo studio" ripropone la partitura pubblicata nell'Edizione Completa della Joseph Haydn-Institut. Essendo andato perduto l'autografo, la fonte principale dell'edizione è stata la copia dell'incisore. Tuttavia, sebbene il basso cifrato, solo parzialmente completato da Haydn, non appartenga alla versione finale, è presentato in questa edizione direttamente nel testo (e non nelle note finali), ma solo nel caso in cui si possa inserire in un contesto coerente. Nel caso le fonti riportino diverse pratiche d'esecuzione sotto la direzione di Haydn, esse sono segnate con note a piè di pagina che rimandano all'apparato critico. La grandiosità di questo oratorio non risiede solamente nei cori monumentali utilizzati a chiusura delle varie "giornate" della creazione, ma anche nell'uso sapientissimo dell'orchestra, che spesso suona senza la presenza del canto in una serie di passaggi rievocativi, come nella celebre ouverture "senza forma" più comunemente conosciuta, non a caso, come "La rappresentazione del Caos". Si tratta certamente di un'opera che deve molto sia alla tradizione oratoria di Händel sia al classicismo di cui Haydn è considerato il maestro indiscusso, ma si possono ritrovare in essa anche soluzioni che già preannunciano Beethoven e il prossimo periodo romantico.
LE STAGIONI
Con Le Stagioni (Hob. XXI: 3), Haydn accentuerà ancora di più quel linguaggio musicale che già aveva sperimentato nella Creazione, di cui si può considerare una sorta di continuazione. La complessità di questo monumentale oratorio trova avvisaglie già nel tempo di composizione: più di due anni infatti occorsero al compositore per completarlo. Egli vi mise mano subito dopo l'enorme successo della sua precedente opera sempre con l'aiuto dell'amico van Swieten, che ne fu anche librettista. Il libretto venne tratto dall'omonimo poema di James Thomson che aveva già offerto spunti per la Creazione. Il soggetto si basa su una descrizione delle quattro stagioni dell'anno, mettendone in risalto le caratteristiche peculiari. Si apre alla fine dell'inverno, mentre la natura ancora intirizzita si risveglia ai primi calori primaverili e si conclude ciclicamente allo stesso punto, al termine della quarta stagione. La prima rappresentazione ebbe luogo il 24 aprile 1801 sotto la direzione dello stesso Haydn nel circolo ristretto dell'Associazione dei Cavalieri, seguita, già nello stesso anno, da numerose riprese per cui il compositore apportò modifiche e miglioramenti. La presente edizione "per lo studio" riprende il testo dell'edizione completa della Joseph Haydn-Institut. Essendo andato perduto l'autografo di Haydn, le fonti principali sono costituite dal materiale manoscritto utilizzato per la prima esecuzione viennese dal direttore del coro e del continuista. L'edizione originale, pubblicata da Breitkopf & Härtel a Lipsia nel 1802, è stata consultata come fonte secondaria: Haydn ne fornì la copia dell'incisore ed esaminò la riduzione per pianoforte di August Eberhard Müller che era stata pubblicata insieme ad esso. Queste due edizioni apparvero separatamente, una con testo tedesco e francese, l'altra con il testo tedesco e inglese. Le traduzioni sono dello stesso librettista, il quale però criticò fortemente la divisione del testo a causa di numerosi errori rilevati in sede di pubblicazione: per questo motivo, questa divisione non può dunque essere utilizzata come fonte autorevole. Il materiale utilizzato per le rappresentazioni testimonia le numerose modifiche apportate da Haydn, alcune coeve alle riprese. In questa edizione, per le revisioni minori, la versione originale è fornita in nota a piè di pagina, mentre le versioni originali dell'e introduzioni all'Estate, all'Autunno e all'Inverno compaiono nell'appendice. Le differenze musicalmente significative delle prime edizioni, probabilmente corrispondenti alle modifiche apportate per la copia dell'incisore originale (dispersa), compaiono ugualmente in nota a piè di pagina. Nelle Stagioni Haydn accentuò ulteriormente quegli espedienti di carattere evocativo che aveva già sperimentato nella Creazione: lo si riscontra soprattutto nel grande temporale estivo o nel coro di caccia nell'Autunno o ancora nella tormenta di neve nell'Inverno. Anche in questo caso, le soluzioni adottate sono bifronti, da un lato guardando ad Händel e al classicismo e dall'altro già preannunciando Beethoven e il romanticismo di von Weber e del primo Wagner.
P.S. I titoli riuniti in questa raccolta sono disponibili anche separatamente:
sabato 27 marzo 2021
Edizioni musicali: le Invenzioni e Sinfonie di Johann Sebastian Bach in Urtext (G. Henle Verlag)
DALLA PREFAZIONE:
La data esatta di composizione delle Invenzioni e Sinfonie non è conosciuta. Tuttavia, certi elementi indicano che la maggior parte, se non la totalità dei pezzi, venne composta specialmente per servire all'educazione musicale di Wilhelm Friedemann. Bach annotò le sue "Fantasiae" (=Sinfonie) alcune in bella copia altre in forma di abbozzo. Esse includono correzioni che lasciano pensare che egli le abbia scritte di getto, senza uno schizzo preparatorio. Per quanto concerne i "Praeambula" (Invenzioni) la situazione è differente, dato che alcuni brani sono annotati direttamente dalla mano di Wilhelm Friedemann: essendo poco verosimile che quest'ultimo, allora in un'età compresa fra i 10 e i 12 anni, possa esserne stato l'autore, è più probabile che li abbia copiati da precedenti modelli stabiliti dal padre.
Nel 1723, Bach ricopiò in bella le sue Invenzioni e Sinfonie (dotate questa volta dei titoli con cui oggi le conosciamo) in un quaderno personale. Così facendo, ritoccò leggermente il testo musicale e modificò la successione dei pezzi, classificandoli in ordine progressivo di tonalità. Lo specialista bachiano Christoph Wolff avanza la tesi secondo la quale questo manoscritto autografo, ora dotato di una pagina con titolo e preambolo, potrebbe essere stato predisposto in vista della candidatura di Bach per il posto di maestro di cappella presso la chiesa di San Tommaso di Lipsia (Thomaskantor). La morte del suo predecessore, Johann Kuhnau (giugno 1722), la rinuncia di Georg Philipp Thelemann a prendere il suo posto (novembre 1722) e la mancata liberazione di Christoph Graupner dagli obblighi presi con il suo patrono (fine marzo 1723), permisero a Bach, che già a fine 1722 era stato ammesso nel circolo dei postulanti, di partecipare all'ultima selezione. Tuttavia, la missione del Thomaskantor prevedeva una doppia mansione: non solo egli doveva dirigere (e comporre) la musica per gli uffici religiosi, ma anche insegnare alla Thomasschule, in particolare il canto e diversi strumenti. In questo campo, Bach, che non aveva diplomi universitari e a Köthen si era occupato solo di musica di corte, aveva poca esperienza da poter mettere in pratica. Così, esattamente come la prima parte del Clavicembalo ben temperato - di cui Bach completò la bella copia proprio in quel periodo - la raccolta delle invenzioni e sinfonie venne dotata di una pagina di titolo che ne sottolineasse prima di tutto la loro utilità per la formazione strumentale. Con questi pezzi, verosimilmente Bach volle provare le sue capacità di insegnare in maniera appropriata ed efficace, malgrado la mancanza di una formazione universitaria.
Nel cosiddetto "Onesto metodo" (Auffrichtige Anleitung) aggiunto all'inizio delle Invenzioni e Sinfonie, Bach si indirizza a due tipologie di destinatari: i (semplici) amatori e coloro che sono "avidi di imparare", cioè gli allievi strumentisti. Così facendo, egli ci mette davanti a un doppio obiettivo di apprendimento: da un lato, lo sviluppo d'una pratica strumentale ad un tempo cantabile ed equilibrata sia per la mano destra che per quella sinistra, dall'altro un'introduzione alla composizione (e all'improvvisazione). Quest'ultimo obiettivo è probabilmente alla base del carattere quasi enciclopedico delle invenzioni e sinfonie: Bach presenta in questa raccolta una grande varietà di caratteri e di affetti, impiegando una ricca tavolozza che va dallo stile galante alla più grande sensibilità, oltre che un uso oculato delle differenti tonalità mettendone in risalto le qualità espressive.
Esistono molte copie delle invenzioni e sinfonie realizzate dai suoi allievi, la maggior parte delle quali sono sicuramente state ricavate dalla copia manoscritta di Bach. Queste copie sono interessanti, perché forniscono ad un tempo uno sguardo sulle pratiche di ornamentazione dell'epoca (il testo non è modificato, ma ci sono molti ornamenti aggiunti) e sull'insegnamento di Bach. La profusione di ornamenti potrebbe avere funzione didattica: forse l'allievo poteva scegliere caso per caso fra le molteplici varianti presentate. Bach aveva inizialmente aggiunto pochi abbellimenti al manoscritto autografo. Durante una revisione del manoscritto (di cui non conosciamo la data), corresse taluni errori in pochi punti (rielaborò profondamente l'invenzione numero 1), ma aggiunse anche nuovi ornamenti alle invenzioni 10 e 11, oltre che alla sinfonia 5.
Il manoscritto autografo in bella copia costituisce la fonte principale di questa edizione (solo le invenzioni 1 e 5 sono state presentate in doppia versione, originale e rielaborata). Quando le copie degli allievi presentano differenze significative, le Sinfonie sono proposte due volte: una secondo la versione con meno ornamenti del manoscritto di Bach, la seconda dalle copie, molto più abbellita. A differenza dello spartito, l'ornamentazione, come parte integrante della "decoratio", rientrava nel campo del "gusto" e dipendeva di conseguenza dalle preferenze e dalle capacità personali dei musicisti. Esse erano considerate come un apporto individuale e non erano generalmente annotate, ma potevano essere aggiunte spontaneamente. In questo modo le "maniere" (gli ornamenti) erano considerate un mezzo indispensabile per rendere più interessante l'interpretazione di un'opera. Questo perché Bach inserì all'inizio del Clavier-Büchlein una tavola completa degli ornamenti. Gli abbellimenti riprodotti in questa edizione sono volti a dare un'immagine della pratica strumentale in uso intorno al 1725 nella cerchia di Bach e a suscitare una riflessione personale sulle scelte appropriate in termini d'ornamentazione.
A proposito della diteggiatura. La diteggiatura della presente edizione è pensata per il pianoforte moderno. L'obiettivo non è quello di ricercare una diteggiatura storica, ma piuttosto una facilità di esecuzione che faccia appello a tutte le dita, compreso il pollice sui tasti neri. Lo spartito di Bach non fornisce quasi mai indicazioni di fraseggio. Secondo questo punto di vista, anche se la diteggiatura proposta tenta di essere neutrale, potrà essere sovente utile e necessario imprimervi un'intenzione di fraseggio. La diteggiatura degli abbellimenti si basa sulla loro realizzazione "standard". Eventuali alternative sono tuttavia possibili.
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