mercoledì 19 febbraio 2020

Origini della notazione moderna


La notazione sotto forma di segni puntiformi deriva dalla notazione neumatica: il passaggio si evidenzia all'osservazione dei codici (notazione aquitana e beneventana) in cui l'uso dei neumi-punti prevale su quello dei neumi accenti e ci si confronta con almeno una linea di riferimento, ancorché incisa a secco sulla pergamena o comunque priva di un riferimento esplicito all'intonazione.

Ricordiamo che la notazione neumatica, caratteristica delle fonti del canto gregoriano, annovera varie scuole di scrittura e si sviluppa tra il IX e il XIV secolo sulla base di segni detti neumi posti sopra il testo liturgico, inizialmente "in campo aperto" senza riferimento ad intervalli precisi (notazione adiastematica) ma solo con funzione di supporto mnemonico per l'introduzione di una melodia già nota

Il neuma [dal greco νεύμα: segno, cenno, N. d. C.] è un segno che può identificarsi con la singola articolazione espiratoria, ovvero come uno o più suoni prodotti con un'unica emissione vocale su un'unica sillaba. Nello stesso tempo, il neuma richiama il corrispondente gesto della mano (chironomia) utile a ricordare l'andamento melodico in tutti i suoi aspetti: intervallare, ritmico, agogico e dinamico. I neumi vengono infatti fatti risalire agli accenti prosodici (acuto, grave e circonflesso) che prescrivono l'innalzamento o l'aggravamento del tono della voce.

Varie erano le forme assunte dai neumi, in base al frammento melodico da rappresentare e al tipo di tradizione scrittoria. Nelle scuole di scrittura più antiche (come la sangallese e la metense, IX-C sec.) prevalgono i neumi accenti nelle cui forme lineari ben si ravvisano gli accenti prosodici, mentre la notazione aquitana (XII-XIII sec.) è caratterizzata da neumi-punti che di tali forme fissano solo gli estremi, riducendo la linea melodica ad una concatenazione di punti ben distribuiti sul testo e orientati su una linea tracciata a secco sulla pergamena. La notazione si fa diastematica, tendendo a rappresentare intervalli definiti. Le linee furono poi tracciate a inchiostro, anche di diverso colore, per fissare alcuni suoni di riferimento (inizialmente il Do e il Fa). nei secoli il numero di linee varierà dalle quattro del tetragramma di Guido d'Arezzo (995 ca. - 1050), ancora oggi utilizzato nella notazione del canto liturgico, al "multirigo (13 - 14 linee) multichiave" delle intavolature italiane per tastiera dei secoli XVI e XVII.

Dalla graduale modifica della forma e delle proporzioni dei punti ha avuto origine l'attuale aspetto delle note (dalla notazione "quadrata" alla attuale notazione).

La notazione alfabetica, sviluppata dai Greci nell'antichità classica, fu usata nel Medioevo accanto ad altri tipi di notazione per indicare l'altezza dei suoni (le diverse ottave erano individuate mediante l'uso di lettere maiuscole o minuscole, del raddoppio delle stesse o con altri artifici grafici. Nei trattati tra il X e l'XI secolo compaiono esempi musicali redatti utilizzando le lettere dell'alfabeto latino: sia le prime 7 dalla A alla G (una ottava), sia le prime 15 dalla A alla P, omettendo la J (due ottave, secondo la cosiddetta "notazione boeziana"). In genere la lettera A corrispondeva al suono La ma in qualche caso anche al Do (Hucbald, fine IX sec.). La lettera Γ (gamma) che precedeva il La grave (A), venendo a rappresentare il fondamento della serie dei suoni musicali, ha conferito alla scala musicale l'appellativo "gamma".

Nella notazione attuale restano tracce della notazione alfabetica:

  • nei segni delle chiavi, derivate rispettivamente dalla trasformazione grafica delle lettere C (Do), F (Fa) e G (Sol).
  • nei segni di alterazione tutti derivati dalle modificazioni della lettera b (Si), tanto nella sua forma rotonda quanto in quella quadrata.
Il Si fu infatti il primo suono, nella storia della musica occidentale, a rivestire due diversi gradi di intonazione. Veniva chiamato bemolle (Si morbido, dolce, molle) e scritto con una b rotonda, quando, intonato un semitono sopra il La, formava un intervallo consonante con il Fa (4^ giusta); quando invece, intonato un tono sopra il La, formava un intervallo fortemente dissonante con il Fa (tritono o diabolus in musica), veniva chiamato bedurum o bequadratum perché scritto con una b angolata. In seguito, con l'avvento della notazione su rigo, tali simboli vennero ad affiancare progressivamente le note Si, Mi e altre. Il segno rotondo (bemolle), di facile ed unitaria conduzione grafica, ha conservato fino ad oggi il suo significato originale e indica un suono abbassato di un semitono diatonico. Il b quadrato, di complessa e variabile conduzione grafica, si è evoluto verso due diversi segni: il diesis ( ♯ ) che indica l'innalzamento di un semitono cromatico, e il bequadro ( ♮ ) che indica genericamente l'annullamento delle alterazioni precedenti. La forma quadrata della b ha generato anche l'uso tedesco della lettera H ad indicare il Si naturale, mentre per il Si bemolle è conservato l'uso della B.

(Fonte: Fulgoni M., Sorrento A., Manuale di teoria musicale, Vol. I, pagg. 9-10, Edizioni Muaicali "la Nota")

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