La scala di DO maggiore non presenta alterazioni in chiave, quindi le dita si muovono solo sui tasti bianchi del pianoforte. La diteggiatura è la seguente: per la mano destra 12312345 a salire e 54321321 a scendere; per la mano sinistra 54321321 a salire e 12312345 a scendere. La scala di Do maggiore serve da prototipo per le scale di SOL, RE, LA e MI, che presentano la medesima diteggiatura.
Prima di passare alla spiegazione delle scale musicali, approfittiamo di questa occasione per per fare alcune specificazioni.
Lo spartito per pianoforte si presenta su due righi musicali (raramente su tre), nei quali il superiore in chiave di violino e l'inferiore in chiave di basso.
Per esigenze di scrittura però le chiavi possono momentaneamente cambiare. La parte della mano destra è scritta sul primo pentagramma, mentre la sinistra sul secondo, ma per esigenze di esecuzione musicale possono essere invertite: in questo caso lo scambio viene indicato con m.d. per la mano destra, m.s. per la mano sinistra;
Le dita vengono indicate sul pentagramma per mezzo di numeri. La corrispondenza è: 1 - pollice; 2 - indice; 3 - medio; 4 - anulare; 5 - mignolo;
Come vedremo in seguito, la scala di DO maggiore e quelle fino a quattro diesisin chiave (SOL, RE, LA, MI) presentano la medesima diteggiatura: per la mano destra, 12312345 a salire e 54321321 a scendere; per la mano sinistra 54321321 a salire, 12312345 a scendere;
Generalmente il pollice non dovrebbe cadere su un tasto nero; per questo motivo, come vedremo in seguito, le scale musicali con bemolle in chiave tendono ad avere diteggiature differenti rispetto alla scala di DO e a quelle fino a quattro diesis, così da evitare che il pollice cada sui tasti neri.
L’armonia è la disciplina musicale che studia come combinare insieme le note per formare intervalli e accordi e le regole per concatenarli in modo corretto, fluido ed orecchiabile. Insieme alla melodia e al ritmo, l’armonia costituisce uno dei tre principi fondamentali della musica. Apprendere queste nozioni è di fondamentale importanza per saper leggere la struttura di una data composizione e individuarne la tonalità. È altresì fondamentale per la composizione stessa di opere originali, qualsiasi sia lo stile che il compositore intende seguire: servirà dunque tanto a chi predilige uno stile più classico e antico, quanto a chi si cimenta nella composizione di brani jazz, pop, rock etc…
L’armonia classica occidentale fonda le sue radici nelle teorie della scuola pitagorica del VI secolo a.C. ed ha avuto un lento e progressivo sviluppo per tutta l’Era Antica, il Medioevo e il Rinascimento. Ma solo a partire dal XVII-XVIII secolo, grazie a illustri teorici come Jean-Philippe Rameau e compositori del calibro di Johann Sebastian Bach, essa ha iniziato ad evolversi più rapidamente verso le forme che conosciamo e che ancora oggi studiamo.
L’illustre tradizione musicale occidentale non deve far ritenere che il nostro sistema armonico sia l’unico e il migliore al mondo: ogni popolo, cultura e tradizione ha sviluppato regole musicali sue proprie. L’armonia occidentale ha in più semplicemente il pregio di una lunga storia teorica, oltre ad aver dimostrato nel tempo una versatilità tale da permetterle di progredire ed evolversi a sua volta. Tuttavia, il fenomeno musicale, in qualsiasi forma o modo si declini, prende le mosse da fenomeni fisici e risponde a regole matematiche ben precise.
Dalla prossima lezione, la prima ufficiale dopo questa generale introduzione, cominceremo a capire proprio i fondamenti di acustica che stanno alla base di tutti i sistemi armonici. In seguito cominceremo a vedere il concetto di intervallo e la distinzione tra intervallo armonico e melodico, la scala musicale e le sue caratteristiche, la differenza fra modo maggiore e minore e la formazione degli accordi. Passeremo dunque a spiegare come concatenare fra di loro gli accordi, le regole per muovere correttamente le voci e i concetti di cadenza, modulazione e progressione, cioè i rudimenti della composizione stessa. ALCUNI TESTI CONSIGLIATI:
I nomi delle note - Ut, Re, Mi, Fa, Sol, La - altro non sono che le prime sillabe di ogni emistichio (metà di un verso) di un inno a San Giovanni, attribuito a Paolo Diacono (VIII secolo).
(Traduzione: Affinché i tuoi servi, a piena voce, possano esaltare le tue gesta meravigliose, togli, o San Giovanni, ogni impurità dalle loro labbra) Gli emistichi avevano la particolarità di essere intonati in progressione uno più alto del precedente secondo i gradi dell'esacordo naturale (C, D, E, F, G, A). In tal modo le sillabe iniziali furono assunte da Guido d'Arezzo quale efficace accorgimento didattico per l'intonazione dell'esacordo stesso e per la tecnica della solmisazione. In parole moderne, l'intonazione delle sei sillabe diventa strumento per la lettura a prima vista: nella guidoniana Epistola de ignoto cantu il canto da leggere è "sconosciuto", non viene più riprodotto o ricostruito a memoria come quando ci si basava sui soli neumi-accenti in campo aperto. La settima sillaba, estranea all'esacordo ma necessaria al sistema di scale in ottava, venne aggiunta in epoca rinascimentale, forse sintetizzando in SI le parole Sancte Iohannes che conducevano l'inno. In Italia e Spagna la prima sillaba Ut fu sostituita da Do. Notiamo che i suoni fissati dalle chiavi corrispondono ai suoni base degli esacordi della teoria guidoniana della solmisazione:
Osserviamo qui il principio dell'applicazione delle sillabe alla scala. Il primo suono viene intonato sempre sulla sillaba Ut: ut-re, re-mi, fa-sol e sol-la corrispondono all'intonazione dei toni; mi-fa è sempre il semitono. E' quindi evidente che le sillabe non indicano l'altezza assoluta dei suoni, ma la loro intonazione relativa. Questo principio è mantenuto nell'attuale sistema di lettura intonata con il "do-mobile" (Tonic sol-fa). (Fonte: Fulgoni M., Sorrento A., Manuale di teoria musicale, Vol. I, pagg. 10-11, Edizioni Musicali "la Nota")
Scritto dal musicista e teorico musicale statunitense Walter Piston, pubblicato per la prima volta negli anni '40 negli Stati Uniti, rivisto e ampliato da Mark DeVoto ed edito in Italia dalla EDT, questo trattato di Armonia è divenuto una pietra miliare nell'insegnamento di questa disciplina.
In un'epoca dove i "teorici dell'armonia non sono più implicati di persona nella sua evoluzione, perché quest'evoluzione è giunta al termine", come scrisse Jean-Jacques Nattiez, oggetto di un manuale di armonia dovrà essere la "descrizione" dell'opera dei compositori del passato, sia storicamente considerata, sia vista come variazione e devoluzione di un sistema coerente e dotato di una forte continuità.
E questa necessità venne tradotta da Piston e DeVoto nel concetto di common practice, ovvero quella prassi prevalente nella musica d'autore all'interno dell'armonia tonale, che da da Bach a Wagner ha visto i cambiamenti stilistici più come un continuo aggiornamento che una radicale trasformazione. Pertanto, secondo questo concetto, l'armonia tonale sarebbe un blocco che permette di spiegare ogni suo elemento con esempi d'autore numerosi e di diversa epoca, riportando la prassi compositiva al centro dell'attenzione. Con più di novecento esempi, questo manuale costituisce uno dei più vasti compendi di frammenti mai raccolti finora, finalizzati allo studio e all'esame dell'armonia secondo un approccio pragmatico e non accademico. Pure non è possibile non tenere conto, in un trattato dei nostri tempi, della crisi del sistema tonale, che ha portato alla sua rottura e al suo superamento, per poi ragionare dell'armonia (o di ciò che ne resta) al giorno d'oggi.
Queste premesse sono il fondamento della struttura stessa di questo libro, suddiviso in due parti: la prima tratta del sistema tonale, della sua common practice e di tutta una serie di problematiche solitamente non trattate in altri manuali, come ritmo armonico, struttura armonica della frase, scrittura melodica e, in generale, problemi di analisi; la seconda invece è dedicata all'evoluzione dell'armonia dopo la common practice e al suo progressivo superamento, portando esempi da compositori come Debussy, Ravel, Stravinskij ed altri, fornendo materiale di studio su un argomento assai trascurato e di cui esistono ben pochi testi di un certo valore.
Divenuto un classico della didattica dell'armonia nei paesi anglosassoni, la sua divulgazione in Italia ha messo a confronto quel tipo di approccio, più pratico e intuitivo, con il nostro, dal carattere tradizionalmente più teorico e deduttivo. Corredato da esercizi mirati al termine di ciascun capitolo e da un nucleo di lavori dedicati ai corali di Johann Sebastian Bach a fine volume, da potersi integrare a seconda delle esigenze di ciascun lettore, l'opera di Piston ci insegna prima di tutto che non esiste un metodo unico e inequivocabile per studiare l'armonia, ma che ogni singolo studioso può giungere alla comprensione dei vari problemi armonici solo costruendo un proprio percorso di apprendimento.
La notazione sotto forma di segni puntiformi deriva dalla notazione neumatica: il passaggio si evidenzia all'osservazione dei codici (notazione aquitana e beneventana) in cui l'uso dei neumi-punti prevale su quello dei neumi accenti e ci si confronta con almeno una linea di riferimento, ancorché incisa a secco sulla pergamena o comunque priva di un riferimento esplicito all'intonazione.
Ricordiamo che la notazione neumatica, caratteristica delle fonti del canto gregoriano, annovera varie scuole di scrittura e si sviluppa tra il IX e il XIV secolo sulla base di segni detti neumi posti sopra il testo liturgico, inizialmente "in campo aperto" senza riferimento ad intervalli precisi (notazione adiastematica) ma solo con funzione di supporto mnemonico per l'introduzione di una melodia già nota
Il neuma [dal greco νεύμα: segno, cenno, N. d. C.] è un segno che può identificarsi con la singola articolazione espiratoria, ovvero come uno o più suoni prodotti con un'unica emissione vocale su un'unica sillaba. Nello stesso tempo, il neuma richiama il corrispondente gesto della mano (chironomia) utile a ricordare l'andamento melodico in tutti i suoi aspetti: intervallare, ritmico, agogico e dinamico. I neumi vengono infatti fatti risalire agli accenti prosodici (acuto, grave e circonflesso) che prescrivono l'innalzamento o l'aggravamento del tono della voce.
Varie erano le forme assunte dai neumi, in base al frammento melodico da rappresentare e al tipo di tradizione scrittoria. Nelle scuole di scrittura più antiche (come la sangallese e la metense, IX-C sec.) prevalgono i neumi accenti nelle cui forme lineari ben si ravvisano gli accenti prosodici, mentre la notazione aquitana (XII-XIII sec.) è caratterizzata da neumi-punti che di tali forme fissano solo gli estremi, riducendo la linea melodica ad una concatenazione di punti ben distribuiti sul testo e orientati su una linea tracciata a secco sulla pergamena. La notazione si fa diastematica, tendendo a rappresentare intervalli definiti. Le linee furono poi tracciate a inchiostro, anche di diverso colore, per fissare alcuni suoni di riferimento (inizialmente il Do e il Fa). nei secoli il numero di linee varierà dalle quattro del tetragramma di Guido d'Arezzo (995 ca. - 1050), ancora oggi utilizzato nella notazione del canto liturgico, al "multirigo (13 - 14 linee) multichiave" delle intavolature italiane per tastiera dei secoli XVI e XVII.
Dalla graduale modifica della forma e delle proporzioni dei punti ha avuto origine l'attuale aspetto delle note (dalla notazione "quadrata" alla attuale notazione).
La notazione alfabetica, sviluppata dai Greci nell'antichità classica, fu usata nel Medioevo accanto ad altri tipi di notazione per indicare l'altezza dei suoni (le diverse ottave erano individuate mediante l'uso di lettere maiuscole o minuscole, del raddoppio delle stesse o con altri artifici grafici. Nei trattati tra il X e l'XI secolo compaiono esempi musicali redatti utilizzando le lettere dell'alfabeto latino: sia le prime 7 dalla A alla G (una ottava), sia le prime 15 dalla A alla P, omettendo la J (due ottave, secondo la cosiddetta "notazione boeziana"). In genere la lettera A corrispondeva al suono La ma in qualche caso anche al Do (Hucbald, fine IX sec.). La lettera Γ (gamma) che precedeva il La grave (A), venendo a rappresentare il fondamento della serie dei suoni musicali, ha conferito alla scala musicale l'appellativo "gamma".
Nella notazione attuale restano tracce della notazione alfabetica:
nei segni delle chiavi, derivate rispettivamente dalla trasformazione grafica delle lettere C (Do), F (Fa) e G (Sol).
nei segni di alterazione tutti derivati dalle modificazioni della lettera b (Si), tanto nella sua forma rotonda quanto in quella quadrata.
Il Si fu infatti il primo suono, nella storia della musica occidentale, a rivestire due diversi gradi di intonazione. Veniva chiamato bemolle (Si morbido, dolce, molle) e scritto con una b rotonda, quando, intonato un semitono sopra il La, formava un intervallo consonante con il Fa (4^ giusta); quando invece, intonato un tono sopra il La, formava un intervallo fortemente dissonante con il Fa (tritono o diabolus in musica), veniva chiamato bedurum o bequadratum perché scritto con una b angolata. In seguito, con l'avvento della notazione su rigo, tali simboli vennero ad affiancare progressivamente le note Si, Mi e altre. Il segno rotondo (bemolle), di facile ed unitaria conduzione grafica, ha conservato fino ad oggi il suo significato originale e indica un suono abbassato di un semitono diatonico. Il b quadrato, di complessa e variabile conduzione grafica, si è evoluto verso due diversi segni: il diesis ( ♯ ) che indica l'innalzamento di un semitono cromatico, e il bequadro ( ♮ ) che indica genericamente l'annullamento delle alterazioni precedenti. La forma quadrata della b ha generato anche l'uso tedesco della lettera H ad indicare il Si naturale, mentre per il Si bemolle è conservato l'uso della B.
Euterpe, a cui questo blog è dedicato, è una delle nove muse della mitologia classica, figlie di Zeus e di Mnemosine. Il suo nome deriva dal greco Εὐτέρπη, composto di ευ (bene) e τέρπω (piacere, dilettare, rallegrare), e significa "colei che rallegra". Delle nove sorelle protettrici delle arti, Euterpe è la patrona dei musicisti e dei poeti lirici. L'iconografia tradizionale la rappresenta con in mano un flauto, specie quello doppio, ovvero l'antico aulós greco, di cui gli antichi le attribuivano l'invenzione. Per questo motivo è considerata anche la protettrice dei suonatori di flauto.