martedì 26 maggio 2020

Recensione fumetti: Andante, di Miho Obana (Dynit)


Autrice divenuta famosa con il manga Il giocattolo dei bambini (titolo originale Kodomo no omocha), celebre in Italia grazie alla serie anime che ne è stata tratta (da noi nota come Rossana), con Andante la mangaka giapponese Miho Obana si cimenta con la sua "passione segreta": la musica.

"Mi piace la musica. O meglio, adoro gli strumenti musicali! Va oltre il semplice piacere. E' parte della mia vita. Anche se creare una storia che parli dell'argomento non è facile!" con queste parole l'autrice ci racconta, in uno dei tanti obiter dicta presenti fra le pagine del suo fumetto, il suo interesse per questo tema. "Sicuramente disegnare strumenti musicali è difficile ed è per questo che mi sono sempre tenuta alla larga dal progetto. Ma poi sono giunta alla conclusione che si debbano raccontare anche quelli che sono i nostri interessi. Così ho inserito il sassofono in questo manga."

Ed è infatti una sassofonista la protagonista di quest'opera breve ma intensa della maestra di Rossana. Mei Takahara frequenta la seconda media ed è presidentessa del club di musica. Questo (come tanti altri nel prosieguo del manga) è certamente un elemento autobiografico, dato che la stessa maestra Obana prosegue: "Anch'io suonavo il sax alto nel club degli strumenti a fiato della mia scuola media. Ero vicepresidente e qualche volta facevo anche il direttore d'orchestra. In seguito ho suonato ed ogni tanto suono nella banda, ma sinceramente non sono poi così brava. Ora però vorrei andare a lezione da qualche professionista."

La madre di Mei si è risposata con un uomo titolare di un negozio dell'usato, già padre di un ragazzo, Natsu, poco più grande di lei, vero e proprio genio della musica. Ma gli affari del negozio ad un certo punto cominciano a non andare per niente bene e la famiglia si trova presto in crisi sia economica che affettiva. L'irresponsabilità dei loro genitori spinge Natsu ad andare a vivere da solo e a portarsi dietro la sorella acquisita. Mei, che a causa della sua situazione famigliare cova in sé una grande rabbia verso i genitori, oltre che un complesso di inferiorità che la rende insicura ed impulsiva, ha sviluppato una venerazione e un'ammirazione molto intense per la genialità di Natsu, finendo per innamorarsene (dopotutto non sono fratelli di sangue). Il loro equilibrio familiare viene completamente stravolto quando il padre decide di adottare una ragazza australiana, Melvina, detta Mel, e li costringe ad accoglierla in casa loro. Tra Mel e Natsu scoppia la passione. Ferita, Mei prova a dimenticare il fratellastro fidanzandosi con un altro ragazzo, Shu, batterista un po' problematico, il quale però percepisce che l'amore della ragazza per lui non è del tutto pieno.  Nel frattempo la situazione precipita nel momento in cui viene fatta luce sulla reale identità di Mel.

Da qui parte l'intreccio, in pieno stile Obana: l'autrice affronta temi forti, sentimenti contrastanti, rapporti difficili, disadattamento sociale, ma soprattutto (in comune con Kodocha) mette in luce (a volte anche impietosamente) il mondo dell'arte, della musica e dello spettacolo.

La musica permea tutta l'opera, a partire dal titolo, Andante, che, come spiega l'autrice, è un'indicazione agogica che significa alla velocità di una camminata o dolcemente. Tutti i protagonisti principali sono musicisti. La musica è il mezzo con cui Mei tenta di superare le sue insicurezze. La musica è la dote innata di Natsu, che lo porta ad essere venerato dalla sorellastra. La musica è ciò che lo avvicina a Melvina, dotata di una voce angelica. Ed infine è sempre tramite la musica che Mei conosce Shu.  L'autrice stessa si è ispirata alla propria esperienza di musicista dilettante per realizzare molte scene.  Dopotutto, come spiega ancora, "Gli strumenti musicali mi piacciono davvero, perciò ho suonato un po' di tutto, ma purtroppo non sono riuscita a specializzarmi in nessuno. Ma se non mi esercito tutti i giorni non farò progressi. Per questo vorrei che Mei ce la mettesse tutta per migliorare col sassofono!"

In italia, Andante è edito dalla Dynit, che ha presentato i tre volumi del manga riuniti in un cofanetto cartonato.

(Per gentile concessione di Sakura Magazine)

lunedì 25 maggio 2020

Le scale musicali al pianoforte: scala di LA minore (un'ottava)

Iniziamo oggi a praticare le scale minori, esercitandoci primariamente sulla scala di LA minore. La scala di LA minore è relativa di quella di DO maggiore, pertanto non presenta alterazioni in chiave. Possono però essere previste alterazioni momentanee nella scala armonica (SOL diesis) e in quella melodica (FA diesis e SOL diesis). Per ulteriori approfondimenti sulla formazione delle scale minori vedere qui. La diteggiatura è uguale a quella di LA maggiore: mano destra, 12312345 a salire, 54321321 a scendere; mani sinistra, 54321321 a salire, 12312345 a scendere.


TESTI CONSIGLIATI:

giovedì 21 maggio 2020

Le scale musicali al pianoforte: scala di FA DIESIS maggiore (un'ottava)

E concludiamo questa parte sulle scale maggiori su un'ottava con la scala di fa diesis maggiore, con la quale "chiudiamo" anche il "circolo delle quinte". La scala di FA DIESIS ha sei diesis in chiave. Ricordiamo che le scale che iniziano con un tasto nero non permettono di utilizzare il pollice come dito di partenza. Pertanto, la scala di FA DIESIS maggiore avrà la seguente diteggiatura: mano destra, 23412312 a salire e 21321432 a scendere; mano sinistra, 43213212 a salire e 21231234 a scendere.


P.S. La tonalità di FA DIESIS MAGGIORE ha un'equivalente omofona (o enarmonica) in quella di SOL BEMOLLE MAGGIORE. Acusticamente le due tonalità sono identiche ma differiscono nella notazione musicale, in quanto FA DIESIS MAGGIORE presenta sei diesis in chiave, mentre SOL BEMOLLE MAGGIORE ha sei bemolle in chiave.

TESTI CONSIGLIATI:

mercoledì 20 maggio 2020

Armonia (Lezione 1): Fondamenti di acustica - i suoni armonici


Perché quando sentiamo una scala musicale percepiamo una successione ordinata di suoni secondo uno schema ben preciso? Perché l’abitudine all’ascolto ci porta a considerarla una sequenza predefinita, come insita in tutti noi?

Generalmente, il fatto che una scala musicale sia in do piuttosto che in re, significa che questa o quella nota è considerata centrifuga rispetto alle altre. Per questo motivo è detta centro tonale o nota fondamentale. Questa centralità ha spiegazioni scientifiche e si basa sul concetto di sequenza armonica


Immaginiamo di avere una corda tesa fra due punti fermi e che questa corda, se pizzicata, produca un do.




Questo do, che chiameremo suono 1, è in realtà composto da ulteriori suoni che si propagano da esso come cerchi concentrici. L’orecchio umano percepisce principalmente questo do, ma in taluni casi, a seguito della nota effettivamente emessa, nell’aria si propagano altri suoni, come nei rintocchi di una grossa campana.


Questo perché i suoni in questione sono “contenuti” in quello principale. Possiamo considerarli come dei “sottomultipli”, delle “frazioni” del suono stesso. Per estrapolare uno di essi, sarà dunque sufficiente dividere la fonte sonora per la porzione corrispondente alla frequenza del suono secondario.

Nel caso della nostra corda do, a parità di lunghezza e di tensione, poniamo un ponticello mobile in corrispondenza della metà.



Pizzicando le due parti così ottenute, otterremo un nuovo suono do, ma più acuto, che chiameremo suono 2. Per motivi che vedremo meglio in seguito, si dice che questo suono 2 è posto un’ottava sopra il suono 1



Isolando ulteriormente un terzo di corda, otterremo come nota un sol che chiameremo suono 3.



Dividendo la corda in frammenti sempre più piccoli (1/4; 1/5; 1/6 etc…) si avranno note sempre più acute, contrassegnate con un numero corrispondente al denominatore della frazione che indica la porzione di corda sollecitata. Sono questi i cosiddetti suoni armonici.


Da notare che ad ogni raddoppio del denominatore corrisponde la stessa nota ad ottave più acute.



Di conseguenza, gli armonici 1, 2, 4, 8 saranno tutti dei do, mentre gli armonici 3, 6, 12 saranno tutti dei sol e così via.

Come si è potuto osservare nell'immagine, taluni suoni ritornano più spesso di altri. Nello specifico, il do (quattro volte) compare con maggiore frequenza, ponendosi quindi come quel centro tonale si cui si parlava prima. 
Il secondo suono più frequente è il sol (tre volte), il quale, come vedremo, è la nota più influente della tonalità dopo la fondamentale. Poi viene il mi (due volte), che combinato con do e sol forma la triade fondamentale di do maggiore.

Come si può ulteriormente notare, il suono 3 è strettamente legato al suono 2, ottava del suono fondamentale, posto una quinta sotto:


Ne consegue che lo stesso suono fondamentale, nel nostro esempio il do, può essere a sua volta suono armonico di un fa più grave di una quinta:



Per il medesimo principio, quindi, il sol può essere ulteriormente suono fondamentale di una serie di armonici che da esso si sviluppa:


Ciò significa che ogni nota può essere sia suono fondamentale sia armonico di un altro sistema di armonici. Nello specifico, do, sol e fa sono quindi strettamente affini. Non a caso, come si vedrà meglio in seguito, essi sono i fondamenti stessi della tonalità: tonica (do), dominante (sol), sottodominante (fa).


In base a questi fenomeni fisici, ogni civiltà ha sviluppato sistemi musicali suoi propri. In occidente, sin dagli antichi greci e fino ai secoli XVII e XVIII, si svilupparono la moderna armonia tonale e il concetto di scala diatonica, che sarà argomento della prossima lezione. Precisiamo ulteriormente, però, che il sistema tonale occidentale non deriva in realtà direttamente dagli armonici naturali, ma si basa sul cosiddetto temperamento equabile, cioè una versione "temperata", standardizzata degli armonici stessi, 
dato che, per fenomeni fisici particolari che verranno trattati in seguito, i rapporti qui sopra descritti non sono matematicamente perfetti in natura.

ALCUNI TESTI CONSIGLIATI:


lunedì 4 maggio 2020

Claudio Arrau - L'enciclopedista al pianoforte

A parte Ferruccio Busoni, fra tutti i pianisti dello scorso secolo di origine non tedesca Claudio Arrau fu quello più profondamente influenzato dalla Germania. Qualunque fosse il suo passaporto, non lo si poté mai privare della sua cittadinanza e fu l'unico pianista cileno della nazione tedesca.

Il piccolo Claudio, l'enfant prodige dal Sudamerica, crebbe a Berlino dove piantò le radici della sua arte. A Berlino Arrau maturò diventando il serio e illustre pianista che più tardi sarebbe stato ammirato in tutto il mondo: un fanatico della verità e dell'assoluta calma e compostezza di fronte ai tasti bianchi e neri. 


L'arte di Arrau sembra effettivamente "riposare" in se stessa" (o dentro di lui). In ogni caso rinuncia agli atteggiamenti autoritari, rispettando la volontà del compositore sin nei minimi particolari, ponendo il proprio "onore" pianistico al suo servizio senza la minima traccia di servilità. Ciò conferisce alle interpretazioni di Arrau quell'inconfondibile aspetto virile e da grand seigneur. Come suonava Arrau, così il Grand Siècle aveva servito i suoi signori: con fedeltà ed orgoglio.

Nelle conversazioni di Arrau con Joseph Horowitz, in questa biografia (in molti punti addirittura autobiografia) eloquente e piena di confessioni, il pianista disse chiaramente che durante il suo pellegrinaggio artistico compiuto in Europa da giovane, né Parigi né Vienna né Londra avevano da offrirgli quello che poteva dargli la Berlino degli anni Venti. In breve: una solida preparazione tecnica e intellettuale (presso Martin Krause), gli stimoli e le emozioni di una metropoli che si trovava in una febbre sociale e culturale post bellica (anche le guerre perdute hanno un lato positivo), disciplina prussiana, senso dell'ordine, diligenza, costanza; non erano le peggiori premesse per una carriera.

Che questa carriera abbia potuto abbracciare tre quarti di secolo con una fecondità inesauribile, Arrau lo dovette alle fatiche di Berlino. Nonostante la povertà della sua esistenza durante gli studi e agli esordi della carriera, questa grande fatica gli rese una inestimabile ricchezza. Arrau visse degli "interessi" di questo patrimonio e non intaccò mai il prezioso capitale artistico conquistato a Berlino.

Claudio Arrau nacque il 6 febbraio 1903 a Chillán in Cile. All'età di cinque anni suonò per la prima volta in pubblico nella sua città natale. A sedici anni suonò già a Berlino. Fra queste due tappe vi furono gli anni durante i quali Arrau crebbe diventando il "bambino del Cile", il cui talento straordinario brillava talmente come esempio davanti agli occhi di tutto il paese che al piccolo venne assegnata una borsa di studio statale a lunga scadenza: non da un'accademia musicale o da un conservatorio, bensì, un caso assolutamente eccezionale, dal parlamento cileno.

Come una specie di ambasciatore musicale in pantaloncini corti, il bambino venne invitato a studiare il pianoforte e a perfezionarsi in Europa. Arrau diventò così pianista europeo di origine cilena. Già allora le opere di compositori iberici come Albéniz, Granados, de Falla (con le quali i giovani pianisti sudamericani facevano carriera in Europa seguendo le linee dettate dagli organizzatori di concerti e dal pubblico), nei concerti di Arrau apparivano decisamente in secondo piano rispetto alla moltitudine di compositori classici e romantici mitteleuropei.

Arrau suonò Bach. Johann Sebastian Bach - e in abbondanza. Di più: egli suonò Bach al completo, secondo scienza e conoscenza. Fra il 1935 e il 1936 in dodici concerti della "Meistersaal" di Berlino Arrau suonò quasi tutta l'opera per strumento a tastiera del grande maestro: un sensazionale tour-de-force di concentrazione pianistica, musicalità e abilità interpretativa della polifonia. La piccola e intima "Meistersaal" di cinquecento posti, sala da concerto berlinese prediletta per la presentazione di talenti ambiziosi e programmi audaci, contava su un pubblico fedele e appassionato. Con il suo ciclo di opere di Bach, Arrau praticamente si "nobilitò" davanti a questo pubblico. Nonostante la sua timidezza e i dubbi su se stesso che traspaiono dalle conversazioni su quel periodo (come quelle con Joseph Horowitz), per il pubblico Arrau era ormai un pianista grandioso ed autorevole, alle cui interpretazioni ci si poteva affidare con assoluta sicurezza.

Si fece un buon nome. La carriera procedeva con successo. Il pubblico accorreva numeroso per ascoltarlo. Dovunque egli suonasse si avvertiva subito la sua serietà e la profonda devozione verso la sua arte. Guardando retrospettivamente gli inizi della sua carriera, Arrau tendeva a minimizzare i primi successi, specialmente rispetto ai trionfi più tardi. Ma per tutti coloro che lo ascoltarono in Germania in quel periodo, Arrau contava già fra i più illustri pianisti attivi in Germania. Egli era praticamente "incorporato" in una comunità artistica. La sua fama era ormai vicinissima quando si trovava ancora in Germania. In Backhaus, Edwin Fischer e persino in Kempff, più anziani di lui di diciannove, diciassette e otto anni rispettivamente, il pubblico ammirava una venerabile generazione ormai passata di pianisti (e Arrau stesso non nascose mai la sua ammirazione per loro). Il presente era dalla parte di Arrau. E straordinariamente questo "presente" Arrau riuscì a estenderlo fino all'ultimo decennio del secolo. Morì a Mürzzuschlag, l'8 giugno 1991 rimanendo, in maniera felice e sorprendente, il "giovane vecchio", o viceversa.

Ricorderemo che negli anni di studio a Berlino Arrau costruì le basi per la straordinaria ricchezza del suo repertorio, la cui estensione avrebbe richiesto un buon numero di talenti e temperamenti eterogenei. Si può sostenere che Backhaus suonasse Debussy con la medesima perfezione con cui suonava Beethoven? O che Edwin Fischer fosse competente per Liszt nella stessa misura in cui lo era per Brahms? Soltanto Arrau possedeva tutti i presupposti per interpretare al massimo livello il repertorio pianistico al completo; un prestigiatore pianistico come nessun altro. Arrau paragonava se stesso e il suo modo di suonare a un attore che con la sua esemplare arte della trasformazione è in grado di tuffarsi in imprese artistiche sempre nuove senza mai perdersi. L'arte di Arrau può essere descritta come una "dedica assoluta senza sacrificare se stesso". 

Avendo acquistato tutti gli arnesi del mestiere e nel frattempo diventato adulto, dopo lo scoppio della guerra Arrau lasciò per qualche tempo la Germania e l'Europa alla conquista musicale di nuovi continenti. Egli doveva convertirli alla sua arte severa: ad esempio alla rinuncia di ogni brillante effetto pianistico nei momenti in cui musicalmente erano fuori luogo; e la rinuncia a tutto ciò che era semplicemente piacevole, gli effetti superficiali e la grazia delle tanto amate blandizie pianistiche. Allo stesso tempo Arrau rimase un vero virtuoso, che tecnicamente non aveva nulla da invidiare dai cosiddetti atleti del pianoforte. Soltanto che la sua natura artistica si era sviluppata nella direzione opposta: non verso il glamour pianistico ma verso una inflessibile ricerca della verità - ma con un tocco assolutamente flessibile.

Arrau insisteva sulla fedeltà verso le note; sulla fedeltà intellettuale e di conseguenza anche stilistica. Senza nascondere i meriti della sua natura artistica egli diventò un maestro dell'"illuminismo" musicale, un enciclopedista al pianoforte. D'Alembert lo avrebbe accolto fra le sue braccia.

(Tratto e rielaborato dall'articolo scritto da Klaus Geitel, traduzione di Claudio Maria Perselli, inserito a commento di alcune incisioni di Claudio Arrau)

Alcuni estratti di interviste in italiano:


sabato 2 maggio 2020

Le scale musicali al pianoforte: scala di RE BEMOLLE maggiore (un'ottava)

Parliamo oggi della scala di RE BEMOLLE maggiore, con cinque bemolli in chiave. Ricordiamo che le scale con più di due bemolli in chiave, poiché iniziano con un tasto nero, non permettono di utilizzare il pollice come dito di partenza. Pertanto, la scala di RE BEMOLLE maggiore avrà la seguente diteggiatura: mano destra, 23123412 a salire e 21432132 a scendere; mano sinistra, 32143212 a salire e 21234123 a scendere.


P.S. La tonalità di RE BEMOLLE MAGGIORE ha un'equivalente omofona (o enarmonica) in quella di DO DIESIS MAGGIORE. Acusticamente le due tonalità sono identiche ma differiscono nella notazione musicale, in quanto RE BEMOLLE MAGGIORE presenta cinque bemolli in chiave, mentre DO DIESIS MAGGIORE ha sette diesis in chiave.

TESTI CONSIGLIATI:

venerdì 1 maggio 2020

Le scale musicali al pianoforte: scala di LA BEMOLLE maggiore (un'ottava)

Parliamo oggi della scala di LA BEMOLLE maggiore, con quattro bemolli in chiave. Ricordiamo che le scale con più di due bemolli in chiave, poiché iniziano con un tasto nero, non permettono di utilizzare il pollice come dito di partenza. Pertanto, la scala di LA BEMOLLE maggiore avrà la seguente diteggiatura: mano destra, 23123123 a salire e 32132132 a scendere; mano sinistra, 32143212 a salire e 21234123 a scendere.


TESTI CONSIGLIATI: