lunedì 4 maggio 2020

Claudio Arrau - L'enciclopedista al pianoforte

A parte Ferruccio Busoni, fra tutti i pianisti dello scorso secolo di origine non tedesca Claudio Arrau fu quello più profondamente influenzato dalla Germania. Qualunque fosse il suo passaporto, non lo si poté mai privare della sua cittadinanza e fu l'unico pianista cileno della nazione tedesca.

Il piccolo Claudio, l'enfant prodige dal Sudamerica, crebbe a Berlino dove piantò le radici della sua arte. A Berlino Arrau maturò diventando il serio e illustre pianista che più tardi sarebbe stato ammirato in tutto il mondo: un fanatico della verità e dell'assoluta calma e compostezza di fronte ai tasti bianchi e neri. 


L'arte di Arrau sembra effettivamente "riposare" in se stessa" (o dentro di lui). In ogni caso rinuncia agli atteggiamenti autoritari, rispettando la volontà del compositore sin nei minimi particolari, ponendo il proprio "onore" pianistico al suo servizio senza la minima traccia di servilità. Ciò conferisce alle interpretazioni di Arrau quell'inconfondibile aspetto virile e da grand seigneur. Come suonava Arrau, così il Grand Siècle aveva servito i suoi signori: con fedeltà ed orgoglio.

Nelle conversazioni di Arrau con Joseph Horowitz, in questa biografia (in molti punti addirittura autobiografia) eloquente e piena di confessioni, il pianista disse chiaramente che durante il suo pellegrinaggio artistico compiuto in Europa da giovane, né Parigi né Vienna né Londra avevano da offrirgli quello che poteva dargli la Berlino degli anni Venti. In breve: una solida preparazione tecnica e intellettuale (presso Martin Krause), gli stimoli e le emozioni di una metropoli che si trovava in una febbre sociale e culturale post bellica (anche le guerre perdute hanno un lato positivo), disciplina prussiana, senso dell'ordine, diligenza, costanza; non erano le peggiori premesse per una carriera.

Che questa carriera abbia potuto abbracciare tre quarti di secolo con una fecondità inesauribile, Arrau lo dovette alle fatiche di Berlino. Nonostante la povertà della sua esistenza durante gli studi e agli esordi della carriera, questa grande fatica gli rese una inestimabile ricchezza. Arrau visse degli "interessi" di questo patrimonio e non intaccò mai il prezioso capitale artistico conquistato a Berlino.

Claudio Arrau nacque il 6 febbraio 1903 a Chillán in Cile. All'età di cinque anni suonò per la prima volta in pubblico nella sua città natale. A sedici anni suonò già a Berlino. Fra queste due tappe vi furono gli anni durante i quali Arrau crebbe diventando il "bambino del Cile", il cui talento straordinario brillava talmente come esempio davanti agli occhi di tutto il paese che al piccolo venne assegnata una borsa di studio statale a lunga scadenza: non da un'accademia musicale o da un conservatorio, bensì, un caso assolutamente eccezionale, dal parlamento cileno.

Come una specie di ambasciatore musicale in pantaloncini corti, il bambino venne invitato a studiare il pianoforte e a perfezionarsi in Europa. Arrau diventò così pianista europeo di origine cilena. Già allora le opere di compositori iberici come Albéniz, Granados, de Falla (con le quali i giovani pianisti sudamericani facevano carriera in Europa seguendo le linee dettate dagli organizzatori di concerti e dal pubblico), nei concerti di Arrau apparivano decisamente in secondo piano rispetto alla moltitudine di compositori classici e romantici mitteleuropei.

Arrau suonò Bach. Johann Sebastian Bach - e in abbondanza. Di più: egli suonò Bach al completo, secondo scienza e conoscenza. Fra il 1935 e il 1936 in dodici concerti della "Meistersaal" di Berlino Arrau suonò quasi tutta l'opera per strumento a tastiera del grande maestro: un sensazionale tour-de-force di concentrazione pianistica, musicalità e abilità interpretativa della polifonia. La piccola e intima "Meistersaal" di cinquecento posti, sala da concerto berlinese prediletta per la presentazione di talenti ambiziosi e programmi audaci, contava su un pubblico fedele e appassionato. Con il suo ciclo di opere di Bach, Arrau praticamente si "nobilitò" davanti a questo pubblico. Nonostante la sua timidezza e i dubbi su se stesso che traspaiono dalle conversazioni su quel periodo (come quelle con Joseph Horowitz), per il pubblico Arrau era ormai un pianista grandioso ed autorevole, alle cui interpretazioni ci si poteva affidare con assoluta sicurezza.

Si fece un buon nome. La carriera procedeva con successo. Il pubblico accorreva numeroso per ascoltarlo. Dovunque egli suonasse si avvertiva subito la sua serietà e la profonda devozione verso la sua arte. Guardando retrospettivamente gli inizi della sua carriera, Arrau tendeva a minimizzare i primi successi, specialmente rispetto ai trionfi più tardi. Ma per tutti coloro che lo ascoltarono in Germania in quel periodo, Arrau contava già fra i più illustri pianisti attivi in Germania. Egli era praticamente "incorporato" in una comunità artistica. La sua fama era ormai vicinissima quando si trovava ancora in Germania. In Backhaus, Edwin Fischer e persino in Kempff, più anziani di lui di diciannove, diciassette e otto anni rispettivamente, il pubblico ammirava una venerabile generazione ormai passata di pianisti (e Arrau stesso non nascose mai la sua ammirazione per loro). Il presente era dalla parte di Arrau. E straordinariamente questo "presente" Arrau riuscì a estenderlo fino all'ultimo decennio del secolo. Morì a Mürzzuschlag, l'8 giugno 1991 rimanendo, in maniera felice e sorprendente, il "giovane vecchio", o viceversa.

Ricorderemo che negli anni di studio a Berlino Arrau costruì le basi per la straordinaria ricchezza del suo repertorio, la cui estensione avrebbe richiesto un buon numero di talenti e temperamenti eterogenei. Si può sostenere che Backhaus suonasse Debussy con la medesima perfezione con cui suonava Beethoven? O che Edwin Fischer fosse competente per Liszt nella stessa misura in cui lo era per Brahms? Soltanto Arrau possedeva tutti i presupposti per interpretare al massimo livello il repertorio pianistico al completo; un prestigiatore pianistico come nessun altro. Arrau paragonava se stesso e il suo modo di suonare a un attore che con la sua esemplare arte della trasformazione è in grado di tuffarsi in imprese artistiche sempre nuove senza mai perdersi. L'arte di Arrau può essere descritta come una "dedica assoluta senza sacrificare se stesso". 

Avendo acquistato tutti gli arnesi del mestiere e nel frattempo diventato adulto, dopo lo scoppio della guerra Arrau lasciò per qualche tempo la Germania e l'Europa alla conquista musicale di nuovi continenti. Egli doveva convertirli alla sua arte severa: ad esempio alla rinuncia di ogni brillante effetto pianistico nei momenti in cui musicalmente erano fuori luogo; e la rinuncia a tutto ciò che era semplicemente piacevole, gli effetti superficiali e la grazia delle tanto amate blandizie pianistiche. Allo stesso tempo Arrau rimase un vero virtuoso, che tecnicamente non aveva nulla da invidiare dai cosiddetti atleti del pianoforte. Soltanto che la sua natura artistica si era sviluppata nella direzione opposta: non verso il glamour pianistico ma verso una inflessibile ricerca della verità - ma con un tocco assolutamente flessibile.

Arrau insisteva sulla fedeltà verso le note; sulla fedeltà intellettuale e di conseguenza anche stilistica. Senza nascondere i meriti della sua natura artistica egli diventò un maestro dell'"illuminismo" musicale, un enciclopedista al pianoforte. D'Alembert lo avrebbe accolto fra le sue braccia.

(Tratto e rielaborato dall'articolo scritto da Klaus Geitel, traduzione di Claudio Maria Perselli, inserito a commento di alcune incisioni di Claudio Arrau)

Alcuni estratti di interviste in italiano:


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