domenica 27 dicembre 2020
Edizioni musicali: Bach - 389 Choralgesänge für vierstimmigen gemischten Chor (Breitkopf und Härtel)
sabato 26 dicembre 2020
Le scale musicali al pianoforte: scale di FA e di SI minore (un'ottava)
TESTI CONSIGLIATI:
- Vincenzo Mannino, Le scale, Edizioni Curci.
- Tommaso Alati, Le scale per pianoforte, Carisch.
- Luigi Finizio, Le scale, Ricordi.
- Pietro Montani, Tutte le scale, Ricordi
Recensione libri: "Consigli ai giovani musicisti", di Robert Schumann e Steven Isserlis
Oltre ai bambini, Schumann aveva a cuore anche la sorte dei giovani musicisti. Fu proprio questo desiderio di rendersi utile alla formazione degli artisti in erba che lo spinse a scrivere un opuscolo intitolato Regole di vita musicale.
Scritti nel 1848 per accompagnare il celebre Album per la gioventù, si tratta di un compendio di aforismi e consigli per i giovani che intraprendono lo studio musicale, e dispensano una saggezza ancora oggi preziosa.
Grazie al violoncellista e saggista inglese Steven Isserlis, oggi queste massime sono stare raccolte nel libro Consigli ai giovani musicisti, o regole di vita musicale e pubblicato in Italia da Curci Young. Isserlis seleziona i vari pensieri di Schumann e li riordina, commentandoli con le sue argute riflessioni, frutto della sua lunga esperienza di artista, protagonista delle principali stagioni concertistiche di tutto il mondo. Il risultato è un manifesto per tutti i musicisti, studenti, docenti e appassionati di musica.
Con questa lettura da consumare tutta d'un fiato o distillare a piccole dosi, come tante perle di quotidiana saggezza, Isserlis (di cui Curci Young ha pubblicato anche Perché Beethoven lanciò lo stufato e Perché Ciajkovskij si nascose sotto il divano) ci dona un altro brillante saggio del suo modo tutto originale di leggere e spiegare la musica.
Buona lettura!
martedì 3 novembre 2020
La prima Butterfly, una Tragedia musicale moderna
Quando ferveva il lavoro su Madama Butterfly, Puccini scrisse al librettista Illica (16 novembre 1902): "L'opera deve essere in due atti. Il primo tuo e l'altro il dramma di Belasco con tutti i suoi particolari. Assolutamente ne sono convinto e così l'opera d'arte verrà tale da fare una grande impressione. Niente entr'acte e arrivare alla fine tenendo inchiodato per un'ora e mezzo il pubblico! È enorme, ma è la vita dell'opera".
Era un proposito assai radicale rispetto alle abitudini del pubblico italiano ed internazionale d'inizio secolo (Salome e gli altri atti unici di Richard Strauss erano di là da venire, mentre Wagner richiedeva troppi sforzi d'allestimento per entrare nel repertorio di diffusione capillare, specie in Italia). Ma tale scelta era una logica conseguenza della molla creativa che aveva spinto il compositore verso il nuovo soggetto, con partecipazione emotiva ancor più accentuata del consueto. Assistendo alla play di Belasco da cui Madama Butterfly avrebbe tratto origine, Puccini era stato rapito dall'efficacia drammatica dello scorcio della veglia di Cio-Cio-san in attesa di Pinkerton, già quasi un intermezzo "musicale" fatto di suoni concreti riverberati sulla scena, convincendosi che, a dispetto di un palese modernismo e dei costumi nipponici, aveva di fronte una tragedia potentissima, che seguiva gli schemi più sperimentati della tradizione occidentale. Cimentarsi con quel genere significava aprire un nuovo filone nel teatro musicale fin de siècle, che sarebbe stato poi alimentato da opere tratte direttamente dai miti, da Elektra di Strauss (1909) a Fedra di Pizzetti (1915), sino all'Oedipus Rex di Stravinskij (1927) e oltre.
Anteponendo un antefatto dettagliato (l'atto di Illica ispirato anche al romanzo di Pierre Loti Madame Crysanthème), Puccini avrebbe ottenuto il necessario parodo, dove mettere a fuoco il conflitto che sta alla base della peripezia, lo scontro fra due civiltà, Est ed Ovest, grazie a scene, costumi ed esotismo musicale. Che un simile disegno fosse nella sua mente lo suggerisce un'altra lettera a Illica, del 5 dicembre 1901: "Ti raccomando l'ultimo quadro e pensami a quell'intermezzo, per servirmi del coro: bisogna trovare qualcosa di buono. Voci misteriose a bocca chiusa (per esempio)".
L'insistenza per impiegare il coro in un dramma dominato da un solo personaggio dovrebbe far pensare che Puccini abbia intuito la sua valenza simbolica, in uno schema tragico dalle fattezze classicheggianti. Ma le analogie con quanto accade all'eroe nell'Aiace di Sofocle chiariscono come gl'intenti del compositore non fossero affatto casuali. Aiace Telamonico si suicida gettandosi sulla spada per aver perduto l'onore, e prima di morire congeda Tecnessa che non vuole rassegnarsi all'ineluttabile:. Rivolge poi un addio al figlio, a cui augura un futuro più sereno del suo: "Figlio, deve toccarti successo migliore del padre. [...]. Pure, già ora ho motivo d'invidia per te: non hai sentimento della mia miseria. Non possedere un io che pensa; ecco l'età più cara!". Come Butterfly, che muore con onore per non aver potuto serbar vita con onore suicidandosi con la lama paterna, dopo aver congedato Suzuki imponendole di tener compagnia al figlioletto che gioca, e che infine eleva un addio disperato al suo bimbo, spinto nella stanza dalla cameriera fedele per distrarla dal suo proposito, esprimendo un pensiero volto al futuro: "Perché tu possa andar,/di là del mare,/senza che ti rimorda ai di maturi,/il materno abbandono...".
Altre prove per accreditare la deliberata scelta tragica vengono da precise simmetrie musicali nel modo di iniziare e di finire i due atti, che indicano con chiarezza un percorso drammatico in due parti. Il primo atto si chiude dolcemente con un accordo che sospende la normale risoluzione alla tonica, ed evoca la precedente uscita in scena della fanciulla, simboleggiando la sua apertura all'amore - il secondo viene sigillato da un accordo analogo alla fine di una soluzione cadenzale a piena orchestra (il tema del suicidio), e segna invece lo scioglimento del nodo, tanto che la conclusione del primo atto ci tornerà in mente a posteriori come coerente premessa a una tragedia compiutasi. Un ampio fugato a quattro parti, tra le massime espressioni tecnico-formali in musica, s'ode all'apertura del sipario, come per mettere in enfasi la funzionalità del "nido nuzïal" predisposto da Goro, - ed è ancora con un fugato, ma a tre voci e di corto respiro, che inizia il second'atto, stabilendo, come nel caso dei finali, un rapporto di causa ed effetto tra i due momenti: la casetta si è trasformata in una prigione, e la musica, nel trascinarsi stancamente sugli stessi schemi, ci fa vivere il decorso temporale ("tre anni son passati"), smascherando l'illusorietà delle convinzioni di Butterfly.
In questo schema gioca un ruolo importante la posizione del coro, a tre quinti del second'atto, che canta a bocca chiusa una dolce ninna-nanna, cullando la protagonista nell'ultimo amaro istante d'illusione, e al tempi stesso separa chiaramente la peripezia dallo scioglimento. Qui Butterfly ha finalmente trovato la sintonia con un rarefatto paesaggio sonoro che vibra insieme a lei, voci remote che potrebbero essere misteriosi spiriti augurali, o fantasmi sereni: in una tragedia, quando canta nell'Esodo, il coro prende la parte dell'eroe, e lo assiste nel compimento del gesto finale.
Infine Cio-Cio-san soddisfa appieno le condizioni di un'eroina tragica: fanciulla quindicenne strappata all'età "dei giochi" (come recita il libretto), aderisce a un costume sociale del suo paese e del suo tempo, ma il matrimonio rappresenta ai suoi occhi il riscatto dalla miseria e dall'infame professione della geisha. La statica condizione di moglie "americana" vive solo nel suo autoconvincimento, e viene rapidamente demolita dal precipitare di eventi che la costringeranno ad accettare la legge eterna di ogni tragedia: chi ha turbato l'ordine sociale [la cosiddetta hamartia aristotelica], come lei stessa ha fatto innamorandosi di un uomo cui doveva solo procurare svago, seve ristabilirlo col proprio sacrificio [la katharsis].
Topoi riconosciuti del genere tragico, e gesti musicali precisamente coordinati ad essi, sostengono dunque la struttura della tragedia giapponese di Puccini, che purtroppo fu realizzata compiutamente soltanto nel debutto di Madama Butterfly alla Scala di Milano, il 17 febbraio 1904. Da quell'infausta serata, in cui il pubblico fischiò impietosamente, sobillato da una claque ostile al maggior compositore italiano del momento e al suo editore Ricordi, ebbe inizio un processo sistematico di revisione dell'opera, dalla macrostruttura (l'atto conclusivo fu scisso in due parti) sino ai dettagli, che la rense uno dei casi più complessi della filologia musicale di tutti i tempi.
L'opera vista a Milano era assai diversa da quella corrente. Il prim'atto, ad esempio, era intessuto di scenette di colore locale (ora tagliate), dove i giapponesi apparivano ridicoli talora sino al grottesco, offrendo a Pinkerton ripetute occasioni di schernirli con battute sprezzanti. Lo zio Yakusidé, già ubriaco all'inizio del banchetto nuziale, cantava un'aria da osteria ("All'ombra d'un kekì / sul Nunki-nunko-yama"), sollecitato a esibirsi con protervia da Pinkerton. Dal canto suo il tenente reagiva con poco garbo ai nomi poetici dei tre servi, apostrofandoli rozzamente "Muso primo, secondo e muso terzo", e non perdeva l'occasione di esprimere tutto il suo cinismo quando, nel finale, non si lasciava andare al rimpianto per la perduta felicità (l'aria "Addio, fiorito asil", aggiunta per la ripresa bresciana) e, dopo aver consegnato un po' di denaro a Sharpless, se ne andava alla chetichella borbottando "Voi del figlio parlatele, / io non oso. Ho rimorso; / sono stordito! - Addio - mi passerà".
In tal modo giapponesi e statunitensi erano posti quasi sullo stesso piano, e l'incomprensione tra civiltà era reciproca, mentre nella Butterfly attuale la presenza nipponica risulta più dignitosa, e la responsabilità del fraintendimento delle regole di una cultura diversa pesa di più sugli americani.
Anche la musica della protagonista differisce nella Butterfly milanese, a cominciare dal tema cardine di tutta l'opera, perché accompagna la protagonista al suo ingresso in scena, fissando l'immagine della donna innamorata nel suo poetico contesto naturale; e si riaffaccia in molteplici circostanze per caratterizzare il rapporto fra il sentimento della geisha e la realtà. Qui la melodia sopra l'accordo di tonica scende alla dominante - rimanendo dunque sul primo grado in secondo rivolto - per poi risalire alla sensibile creando una dissonanza di settima solo sull'ultimo quarto, mentre nelle versioni successive la dissonanza compare già a metà della battuta. Ne risulta una maggior fragranza armonica, visto che la sequenza si ripete in progressione su sei gradi di una scala per toni interi al basso, dove l'accordo aumentato assume la funzione di quinto grado della nuova tonalità.
Diversi sono anche i due grandi assoli tragici di Cio-Cio-san. Nel primo, "Che tua madre" i versi tratteggiano una madre visionaria, che presenta lo sfortunato bimbo all'Imperatore, invece della madre che, al mestiere della geisha preferisce il suicidio. Nella conclusione Puccini cambiò anche la melodia rendendola più drammatica, con ampi balzi verso l'acuto, e fu mosso dallo stesso intento anche nell'aria conclusiva ("Tu, tu, piccolo iddio!"), rettificando il profilo melodico da discendente ad ascendente.
Un'ultima ma sostanziale diversità va segnalata all'ascoltatore: il finale ultimo, con l'ingresso nella stanza dove si era consumata la vita di Butterfly della moglie americana di Pinkerton, che dialoga a lungo con la piccola giapponese, intonando molti dei versi che attualmente sono affidati a Sharpless, mentre Kate rimane fuori nel giardino, priva o quasi d'identità musicale. Se nella prima versione Puccini e i librettisti vollero contrapporre direttamente le due donne, nell'ultima versione, accogliendo la prospettiva del regista Albert Carré che mise in scena l'opera a Parigi nel 1906, preferirono orientarsi verso una visione più simbolista del dramma.
Assegnando a Kate la parte attiva di giustiziera nel compimento della tragedia, invece che quello di fantasma delle private ossessioni di Cio-Cio-san, il compositore si era mosso in piena coerenza con il trattamento del genere tragico che rimane il pregio della prima Madama Butterfly, un'opera diversa da quella che conosciamo, perfettibile forse, ma dotata di quel fascino che solo l'ispirazione conferisce ai capolavori.
(Tratto dall'introduzione di Michele Girardi al libretto di Puccini, Madama Butterfly (Original 1904 Version), della Naxos)
mercoledì 7 ottobre 2020
Origine e sviluppo del corale luterano
domenica 4 ottobre 2020
Gli strumenti musicali dei popoli primitivi
Egli classificò gli strumenti basandosi sui caratteri morfologici (idiofoni, membranofoni, aerofoni, cordofoni) e ne illustrò la distribuzione geografica e culturale.
I più diffusi, anche perché si possono costruire cono oggetti di uso comune, sono gli idiofoni: dalla percussione del corpo umano o di sue parti si passa alla percussione del terreno con i piedi. Altri idiofoni primitivi sono: tronchi d'albero distesi sul terreno, o aperti, o scavati nel senso della lunghezza (tamburi a fessura, di solito con funzioni rituali). La percussione è effettuata con i piedi, o con le mani, o con mazze o battagli. Idiofoni di legno si possono anche sfregare tra di loro o raschiare. Invece si agitano i vari tipi di sonagli ottenuti riempiendo di sassolini o di semi di frutti essiccati (zucche) o dal guscio duro (noci di cocco), pelli di animali, vasi, o infilando pezzi di metallo in contenitori di legno, d'argilla e più tardi di metallo. I tipi più complessi di idiofoni sono gli xilofoni di varie fogge, i litofoni, i gong.
Meno vari sono in questo stadio i membranofoni, basati su pelli d'animali tese su un vaso o sulla cavità costituita da una zucca o noce di cocco e percossi con le mani. A stadi più evoluti appartengono i tamburi in cui una o due pelli sono tese su un recipiente di argilla o su un telaio di legno di forme diverse. I tamburi sono di solito percossi (con le mani o con bastoni), ma possono assere anche essere sfregati.
Tra gli aerofoni lo strumento più semplice è il bastone sibilante, una tavola di legno fissata ad una corda, che volteggiano in aria produce sibili di varie altezze, secondo la velocità.
I tipi più antichi di flauti sono ricavati da osa di animali, svuotate e fornite di alcuni fori laterali. Più tardi vennero i flauti di legno con imboccatura a tacca (come nel flauto dolce) e i flauti di argilla. Frequenti sono anche i flauti a più canne (siringa).
Gli strumenti meno diffusi nelle culture primitive sono i cordofoni. Tra le forme più arcaiche di essi sono da citare l'arco, una corda tesa fra un'estremità di un bastone elastico e un pezzo di corteccia stesa su una buca o tenuta con un'estremità in bocca; essa viene pizzicata o percossa; e il salterio di canna, costruito con una (o più) sottile striscia di scorza staccata da una canna di bambù. Con questi principi (un telaio fisso e corde elastiche tese su di esso e attraverso esso) furono costruiti i cordofoni più perfezionati, classificabili per lo più nei tipi delle cetre e delle arpe.
sabato 3 ottobre 2020
L'origine della musica
Nella seconda metà del secolo scorso [XIX] e all'inizio del presente [XX] un problema che appassionò studiosi di varie discipline (musicologi, ma anche etnologi e antropologi) fu quello dell'origine della musica: quando e come nacquero i suoni e la musica?
Molte delle risposte che furono date rispecchiavano il pensiero positivista, che influenzava la scienza e le ricerche di quel periodo. [...] [Queste teorie però si basavano] sul presupposto che si potesse prospettare l'origine della musica secondo un processo unico e uguale per tutti i popoli e in tutti i continenti. Fu obiettato che è da ritenere impossibile che una realtà ricca e varia qual è la musica possa aver avuto origini monogenetiche.
domenica 6 settembre 2020
Edizioni musicali: le Romanze senza Parole di Mendelssohn in un'edizione "per lo studio" (G. Henle Verlag)
lunedì 10 agosto 2020
Le sonate per pianoforte di Mozart spiegate da Claudio Arrau (Parte II)
A mio avviso, la Fantasia e Sonata in do minore, KV 475 e KV 457 (la prima datata Vienna, 20 maggio 1785 e l'altra 4 ottobre 1784), rappresentano una crisi nella vita di Mozart, non dissimile da quella cui era andata incontro quando scrisse la KV 310 a Parigi. Lo stesso Mozart volle che i due brani fossero pubblicati insieme, e insieme essi formano un'impressionante opera unitaria, tanto che è ben difficile comprendere come mai capiti ancora così spesso che le due opere vengano eseguite separatamente. Suonare la sonata da sola è come presentare un grande dramma amputato del prologo. La dedica apposta dallo stesso Mozart alla prima edizione suona: "Fantasie et Sonate Pour le Forte-Piano composées pour Madame Therese de Trattnern par le Maître de Chapelle W. A. Mozart. Œuvre XI."
domenica 9 agosto 2020
Le sonate per pianoforte di Mozart spiegate da Claudio Arrau (Parte I)
Da questo viaggio fatale derivano le sue successive sette Sonate per piano (le KV 309, 310, 311, che appartengono a Mannheim e Parigi, e le KV 330, 331, 332 e 333, legate al ritorno a Monaco e Vienna) e anche il compimento della sua prima grande opera, l'Idomeneo. Tutte e sette vennero pubblicate a Vienna, quando cominciava a dispiegarsi il suo primo grande periodo di successo. Sei anni sarebbero passati prima che egli tornasse a sentire il bisogno di scrivere una sonata per pianoforte, e ciò sarebbe accaduto proprio in un altro decisivo momento critico della sua vita.
sabato 8 agosto 2020
Le sonate per pianoforte di Mozart spiegate da Claudio Arrau (Introduzione)
lunedì 3 agosto 2020
Recensioni discografiche: Claudio Arrau ci presenta la sua interpretazione delle Sonate per pianoforte di Mozart
venerdì 31 luglio 2020
Etimologia dei nomi degli strumenti musicali: OBOE
mercoledì 29 luglio 2020
Etimologia dei Modi di Dire: VENDETTA, TREMENDA VENDETTA!
La storia del celebre Gobbo che alla corte del Duca di Mantova è perfido buffone e a casa amorevole padre è infatti una storia di vendetta, e vendetta proprio per l'affronto arrecato all'amatissima figlia dallo sfrenato Duca. Presa coscienza dalla stessa figlia della terribile offesa, l'ira del Gobbo esplode: ed è in questo contesto, alla fine del secondo atto, che intona il famoso:
Sì! vendetta! tremenda vendetta
di quest'anima è solo desio!
Di punirti già l'ora s'affretta
che fatale per te tuonerà!
Come fulmin scagliato da Dio
te colpire il Buffone saprà!"
(per gentile concessione di EtimologicaMente)
martedì 28 luglio 2020
Recensioni discografiche: "Semiramide" di Gioacchino Rossini
Con questa registrazione in studio, Opera Rara presenta al pubblico l'ultima e più grandiosa opera italiana di Gioacchino Rossini, che già preannuncia i suoi ultimi capolavori francesi: Semiramide. L'opera, tratta dall'omonima tragedia di Voltaire, venne rappresentata per la prima volta il 3 febbraio 1823 al Teatro la Fenice di Venezia.
Considerata una delle vette indiscusse dell'arte rossiniana, Semiramide accosta vertiginose acrobazie belcantistiche a un impianto orchestrale solido e raffinato, dimostrando la magistrale padronanza dell'arte dell'orchestrazione da parte del compositore pesarese: prova ne è la famosissima sinfonia, dal chiaro impianto sinfonico. Tuttavia, alla sua prima rappresentazione, l'opera venne ritenuta troppo lunga, sicché Rossini stesso si vide costretto ad accorciare molti passaggi. Ancora oggi viene spesso rappresentata con numerosi tagli e riadattamenti. Questa registrazione integrale ripristina pertanto tutte le parti comunemente omesse nelle rappresentazioni moderne, fornendo la possibilità di udire tutta la musica scritta da Rossini per quest'opera, che con la sua grandiosità esotica precorre capolavori monumentali come Aida di Giuseppe Verdi o Turandot di Giacomo Puccini.
il Maestro Sir Mark Elder dirige per questa registrazione l'Orchestra of the Age of the Enlightenment, con cui collabora già da molti anni, che si caratterizza per utilizzare strumenti musicali originali e comunemente impegnata nell'esecuzione del repertorio barocco e classico (per Opera Rara, Elder e quest'orchestra hanno inciso anche Les Martyrs, Imelda de Lambertazzi e Maria di Rohan di Gaetano Donizetti, oltre che Fantasio di Jacques Offenbach). I timbri brillanti e delicati allo stesso tempo degli strumenti di questa compagine orchestrale donano una nobiltà insospettata alla musica di questo vero e proprio capolavoro dell'opera italiana.
Il cast di questa registrazione è assolutamente di prim'ordine, comprendendo molti cantanti già avvezzi al repertorio rossiniano: Albina Shagimuratova (Semiramide), Daniela Barcellona (Arsace), Mirco Palazzi (Assur), Barry Banks (Idreno), Gianluca Buratto (Oroe), Susana Gaspar (Azema) e David Butt Philip (Mitrane).
Ricoperta da innumerevoli recensioni più che positive dalla maggioranza della stampa specializzata (BBC Review, Gramphone, Opera Magazine per citare solo alcuni nomi; nella scheda dedicata sul sito di Opera Rara si possono leggere tutte le recensioni), questa realizzazione è stata insignita anche di numerosi e prestigiosi premi:
- Winner of 2019 International Opera Award for CD (Complete Opera);
- Winner of 2019 International Classical Music Award in the Opera Category;
- Winner of 2019 Opus Klassik Award for Best Opera Recording;
- Winner of 2019 Edison Klassiek Award for Best Opera Recording;
- Opera category nomination for 2019 BBC Music Magazine Awards;
- Final Shortlist in Best Opera Recording category for 2019 Gramophone Awards;
- Płytomania (Polish Radio 2), Opera CD of the Year
giovedì 16 luglio 2020
Recensione libri: "L'infinito tra le note - Il mio viaggio nella musica", di Riccardo Muti (Solferino)
L'infinito tra le note - Il mio viaggio nella musica, pubblicato dalla casa editrice Solferino, è suddiviso in otto capitoletti, all'interno dei quali Muti sintetizza il suo modo di vedere la musica e l'arte della direzione.
Il primo capitolo parla della figura del direttore d'orchestra a tutto tondo, mettendo a confronto nomi celebri del passato con i giovani direttori emergenti, non sempre artisticamente validi. Nel secondo si concentra sul suo progetto di creare una scuola di formazione per direttori d'orchestra secondo la tradizione italiana, oggi in declino, progetto divenuto realtà con l'istituzione nel 2015 della "Accademia dell'opera italiana". Il terzo parla dell'Orchestra Giovanile "Luigi Cherubini" da lui fondata e tutt'ora diretta.
Si passa poi a parlare della sua lunga opera di riscoperta del repertorio della cosiddetta Scuola Napoletana del settecento (capitolo quarto), da cui tutti i grandi musicisti classici hanno attinto, compreso Mozart. E Mozart e Verdi sono, non a caso, i compositori con cui il Maestro ha avuto più a che fare nel corso della sua carriera (capitoli quinto e sesto). Ma l'opera di recupero di Muti non si è limitata al repertorio napoletano settecentesco, essendosi egli occupato anche del poco conosciuto sinfonismo italiano a cavallo fra otto e novecento (capitolo settimo).
L'ultimo capitolo tratta infine del suo rapporto con i compositori emergenti e con la cosiddetta musica "contemporanea", sicuramente interessante dal punto di vista della sperimentazione musicale, ma spesso troppo lontana (tanto da risultare a tratti astrusa), dal gusto del grande pubblico.
In continua oscillazione fra considerazioni disincantate dell'attuale situazione musicale (non solo) italiana e una visione del futuro tutto sommato fiduciosa, questo libro è uno scrigno di inestimabili perle di saggezza donateci da uno dei musicisti più illustri e stimati di sempre.
Buona lettura!
mercoledì 15 luglio 2020
Recensione libri: Lezioni di teoria musicale, di Nerina Poltronieri (edizioni S.E.D.A.M.)
Il presente volume è il primo che compone appunto il "Metodo Poltronieri", di cui fanno parte anche un corso completo di solfeggi parlati e cantati (esercizi e loro esecuzione pratica), una raccolta di dettati musicali, il manuale Lezioni per il corso di armonia complementare e il libro Fondamenti di educazione musicale, il tutto pubblicato dalle Edizioni S.E.D.A.M.
Il modo di coordinare lo svolgimento logico degli argomenti, caratteristico di questa stimata docente, ha permesso di sviluppare, negli studiosi, il desiderio di apprendere e di comprendere l'importanza della conoscenza della parte teorica per poter aspirare a quella perfezione artistica, che dovrebbe essere la meta di tutti coloro che alla musica si dedicano.
Compatto, pratico ed economico, questo manuale è completo di tutti i punti fondamentali della teoria musicale così come vengono trattati nei programmi dei conservatori. Tutti gli argomenti sono trattati in modo comprensibile per tutti coloro che si accostano per la prima volta allo studio della musica. Sono però anche sviluppati con profondità taluni particolari interessanti, in grado di catturare l'attenzione anche di coloro che la musica la conoscono già. Inoltre, questo libretto è ormai considerato da tempo una guida preziosa e sicura anche per tutti coloro che la musica la insegnano.
Buona lettura e buono studio!
venerdì 10 luglio 2020
Intervista a Ennio Morricone
domenica 5 luglio 2020
Le scale musicali al pianoforte: scale di DO, RE, MI e SOL minore
- La scala di MI minore è l'unica di questo gruppo ad avere un diesis in chiave (il FA diesis), come la relativa SOL maggiore:
- La scala di RE minore presenta un bemolle in chiave (il SI bemolle), come la relativa FA maggiore:
- La scala di SOL minore presenta due bemolli in chiave (il SI e il MI bemolli), come la relativa SI BEMOLLE maggiore:
- LA scala di DO presenta tre bemolli in chiave (il SI, il MI e il LA bemolli), come la relativa MI BEMOLLE maggiore:
- Vincenzo Mannino, Le scale, Edizioni Curci.
- Tommaso Alati, Le scale per pianoforte, Carisch.
- Luigi Finizio, Le scale, Ricordi.
- Pietro Montani, Tutte le scale, Ricordi