martedì 26 gennaio 2021

Recensioni discografiche: la versione originale di "Don Carlos"


Le vicende compositive di Don Carlos, la più grandiosa delle opere composte da Giuseppe Verdi, sono fra le più complesse e tormentate della storia del melodramma. Commissionata nel 1864 dall'Opéra di Parigi, che desiderava da Verdi un'opera in cinque atti nello stile di Meyerbeer e di Halévy. La personale visione che tuttavia il compositore diede del grand opéra parigino fu del tutto inedita: egli compose un'opera monumentale e grandiosa che andava ben oltre i canoni dell'opera francese stessa. La monumentalità di Don Carlos non risiede solo nella smisurata lunghezza dell'opera (paragonabile solo ai grandi drammi wagneriani di poco coevi), ma anche nella complessità psicologica dei personaggi.

Tuttavia, durante le prove, Verdi stesso si rese conto che l'opera era veramente troppo lunga e già in questa sede si ritrovò a dover apportare tagli anche consistenti alla partitura. Ne consegue che la prima versione ufficiale, andata in scena all'Opéra l'11 marzo 1867, ben tre anni dopo la commissione, non rispondeva già più all'idea originaria che aveva ispirato il compositore. L'opera subì ulteriori modifiche negli anni successivi: la prima versione italiana, del 1884, previde addirittura la soppressione dell'intero primo atto, ripristinato però in quella del 1886, l'ultima a cui Verdi mise mano.

A causa di queste vicissitudini, la musica che Verdi soppresse in vista della prima rappresentazione parigina non venne mai eseguita, né lo stesso compositore ebbe mai modo di sentire la sua opera eseguita integralmente così come l'aveva originariamente composta.

Tutto questo materiale musicale venne dimenticato fino a quando David Rosen e Andrew Porter non iniziarono a rimontare l'opera secondo la sua versione originaria. Il progetto per una sua esecuzione integrale venne messo in campo dal principale produttore radiofonico della BBC, Julian Budden e portato a compimento nel 1973. La prima esecuzione assoluta della versione originaria di Don Carlos, fu una vera e propria rivelazione: i passaggi reintegrati furono veramente una grande scoperta, ma l'emozione maggiore fu quella di poter comprendere appieno l'idea originale di Verdi, dimostrando quanto la grandezza di quest'opera non risieda solamente nella sua smisurata lunghezza.

Opera Rara ha oggi reso disponibile questa registrazione storica dal vivo in un cofanetto composto da 4 CD e fornito di un libretto illustrato con circa 300 pagine, contenente il testo e la trama in italiano, francese, tedesco e inglese, oltre ad una nota introduttiva di Andrew Porter. Questa registrazione fa parte della serie Verdi Originals, che contiene le registrazioni integrali di cinque opere verdiane nella loro veste originale: oltre a Don Carlos, vi sono raccolte la versione in francese dei Vespri siciliani e le prime versioni di Macbeth, Simon Boccanegra e La forza del destino.

Il cast prevede Joseph Rouleau, Andre Turp, Robert Savoie, Richard Van Allan, Robert Lloyd, Edith Tremblay, Michelle Vilma, Gillian Knight, Emile Belcourt, Geoffrey Shovelton, Prudence, i BBC Singers, la BBC Concert Orchestra e John Matheson come direttore.

Buon ascolto!

venerdì 1 gennaio 2021

Il Concerto di Capodanno


Il Concerto di Capodanno di Vienna si tiene ogni anno la mattina del primo gennaio, ma forse non tutti sanno che nel 1939, data dell'effettivo primo concerto, la manifestazione si tenne la sera del 31 dicembre su iniziativa del maestro Clemens Krauss, il quale decise di dedicare un concerto (nella splendida sala dorata del Musikverein di Vienna) interamente basato sulle musiche di Johann Strauss jr. L'anno successivo fu impedito il regolare svolgimento del concerto, che riprese il 1º gennaio 1941, data del primo concerto "ufficiale", sempre sotto la direzione di Clemens Krauss. Alla sua morte la scelta ricadde su Willi Boskovsky, che da quel momento lo diresse per 25 volte senza interruzione. Tradizionalmente il concerto viene concluso con l'esecuzione di due brani fuori programma: il primo è il valzer An der schönen blauen Donau (Sul Bel Nanubio Blu) di Johann Strauss jr e il secondo è la Marcia di Radetzky di Johann Strauss padre; durante quest'ultimo brano, è prassi consolidata (introdotta dal direttore Lorin Maazel) che il pubblico in sala batta le mani, seguendo il tempo scandito dal direttore, assieme all'incalzare dell'orchestra. A causa della pandemia di Covid-19, il Concerto di Capodanno 2021, diretto da Riccardo Muti, si è svolto per la prima volta nella storia senza pubblico in sala, ma grazie alle moderne tecnologie informatiche è stato possibile far risuonare gli applausi di un pubblico virtuale collegato in streaming con la sala del Musikverein.


Esiste però un secondo Concerto di Capodanno, eseguito verso mezzogiorno del primo di gennaio e trasmesso dal Teatro la Fenice di Venezia. Nato come evento straordinario nel 2004 a seguito della riapertura del teatro dopo la lunga ricostruzione seguita al disastroso incendio che lo distrusse nel 1996, è oggi divenuto una tradizione tutta italiana che ha raggiunto oggi una popolarità molto estesa anche fuori dal nostro paese: è infatti trasmesso in Eurovisione, come quello di Vienna, che in Italia viene da allora spostato in differita immediatamente dopo quello di Venezia. A differenza del suo omologo viennese, che omaggia le musiche festose della famiglia Strauss e dei compositori ad essa legati, il concerto veneziano si concentra principalmente sulla tradizione operistica italiana ed anche in questo caso si usa concludere con due fuori programma ormai divenuti obbligatori: il coro Va', pensiero dal Nabucco e il valzer Libiamo ne' lieti i calici, tratto dalla Traviata entrambe di Giuseppe Verdi. Anche il Concerto di Venezia del 2021 si è svolto senza pubblico in sala.

domenica 27 dicembre 2020

Edizioni musicali: Bach - 389 Choralgesänge für vierstimmigen gemischten Chor (Breitkopf und Härtel)

Pubblicata per la prima volta nel 1912 da Breitkopf und Härtel a cura di Bernhard Friedrich Richter, questa raccolta dei corali di Johann Sebastian Bach impaginati su rigo per pianoforte è diventata un classico delle edizioni musicali, ancora oggi continuamente ristampata sostanzialmente senza modifiche particolari rispetto alla prima edizione. 

Questa collezione contiene tutti i corali con o senza gli strumenti obbligati, esattamente come si possono trovare nell'edizione della Bachgesellschaft. Sono stati esclusi solamente i corali figurati e quelli che contengono grandi interludi strumentali. L'unico corale figurato contenuto nella collezione, il n. 199, "Weg, weg mit allen Schätzen", è stato incluso perché appartiene all'insieme dei corali basati sul mottetto "Jesu meine Freude". Similmente, il numero 259, "Nun danket alle Gott", è stato inserito nonostante i suoi piccoli interludi strumentali a motivo della sua versatilità. 

I corali sono stati catalogati in ordine alfabetico a seconda del titolo originario della melodia e non in base al testo del corale stesso. Ciò significa che per ogni melodia avremo un solo titolo sotto i quali vengono elencati tutti i corali ad essa collegati, a differenza di quanto accade in altre edizioni dove corali con una stessa melodia si trovano in ordine sparso a causa del diverso titolo suggerito dal testo.

Le fonti principali della maggior parte dei corali, duecentoquattro, sono le cantate, gli oratori, le passioni e i mottetti di Bach. I restanti centottantacinque sono tratti invece dall'edizione degli inni per coro a quattro voci che il figlio Carl Philipp Emanuel raccolse negli anni 1784-87, in seguito pubblicati insieme nel volume XXXIX della Bach-Ausgabe.

Raccolta che rende accessibile a tutti i musicisti le grandi pagine corali di Bach, grazie alla sua impaginazione per strumento a tastiera, essa si rivelerà uno strumento utile per tutti coloro che si accostano allo studio e all'analisi di queste piccole ma fondamentali composizioni, che hanno cambiato per sempre il corso della storia musicale.



sabato 26 dicembre 2020

Le scale musicali al pianoforte: scale di FA e di SI minore (un'ottava)

Similmente alle loro omologhe maggiori, anche le scale di FA e di SI minore cominciano ad avere delle variazioni nella diteggiatura rispetto a quelle viste finora. 

Per quanto riguarda la scala di FA minore, che essendo relativa di LA bemolle maggiore ha quattro bemolle in chiave, la mano destra ha la seguente diteggiatura: 12341234 a salire, 43214321 a scendere. La mano sinistra invece resta invariata: 54321321 a salire e 12312345 a scendere.


La scala di si minore, che in quanto relativa di re maggiore ha due diesis in chiave, prevede invece la seguente diteggiatura: mano destra, 12312345 a salire, 54321321 a scendere; mano sinistra, 43214321 a salire, 12341234 a scendere.



TESTI CONSIGLIATI:

Recensione libri: "Consigli ai giovani musicisti", di Robert Schumann e Steven Isserlis

Robert Schumann fu compositore, pianista e critico musicale, annoverato fra i più grandi maestri del Romanticismo. Oltre ad aver precorso con la sua arte soluzioni musicali che si sarebbero diffuse per oltre 150 dopo la sua morte, fu anche particolarmente attento all'istruzione dei fanciulli. Le composizioni che scrisse per l'infanzia e la gioventù sono probabilmente le più famose di questo genere. 

Oltre ai bambini
Schumann aveva a cuore anche la sorte dei giovani musicisti. Fu proprio questo desiderio di rendersi utile alla formazione degli artisti in erba che lo spinse a scrivere un opuscolo intitolato Regole di vita musicale

Scritti nel 1848 per accompagnare il celebre Album per la gioventù, si tratta di un compendio di aforismi e consigli per i giovani che intraprendono lo studio musicale, e dispensano una saggezza ancora oggi preziosa.


Grazie al violoncellista e saggista inglese Steven Isserlis, oggi queste massime sono stare raccolte nel libro Consigli ai giovani musicisti, o regole di vita musicale e pubblicato in Italia da Curci YoungIsserlis seleziona i vari pensieri di Schumann e li riordina, commentandoli con le sue argute riflessioni, frutto della sua lunga esperienza di artista, protagonista delle principali stagioni concertistiche di tutto il mondo. Il risultato è un manifesto per tutti i musicisti, studenti, docenti e appassionati di musica.


Con questa lettura da consumare tutta d'un fiato o distillare a piccole dosi, come tante perle di quotidiana saggezza, Isserlis (di cui Curci Young ha pubblicato anche Perché Beethoven lanciò lo stufato e Perché Ciajkovskij si nascose sotto il divano) ci dona un altro brillante saggio del suo modo tutto originale di leggere e spiegare la musica.

Buona lettura!




martedì 3 novembre 2020

La prima Butterfly, una Tragedia musicale moderna

Quando ferveva il lavoro su Madama ButterflyPuccini scrisse al librettista Illica (16 novembre 1902): "L'opera deve essere in due atti. Il primo tuo e l'altro il dramma di Belasco con tutti i suoi particolari. Assolutamente ne sono convinto e così l'opera d'arte verrà tale da fare una grande impressione. Niente entr'acte e arrivare alla fine tenendo inchiodato per un'ora e mezzo il pubblico! È enorme, ma è la vita dell'opera".

Era un proposito assai radicale rispetto alle abitudini del pubblico italiano ed internazionale d'inizio secolo (Salome e gli altri atti unici di Richard Strauss erano di là da venire, mentre Wagner richiedeva troppi sforzi d'allestimento per entrare nel repertorio di diffusione capillare, specie in Italia). Ma tale scelta era una logica conseguenza della molla creativa che aveva spinto il compositore verso il nuovo soggetto, con partecipazione emotiva ancor più accentuata del consueto. Assistendo alla play di Belasco da cui Madama Butterfly avrebbe tratto origine, Puccini era stato rapito dall'efficacia drammatica dello scorcio della veglia di Cio-Cio-san in attesa di Pinkerton, già quasi un intermezzo "musicale" fatto di suoni concreti riverberati sulla scena, convincendosi che, a dispetto di un palese modernismo e dei costumi nipponici, aveva di fronte una tragedia potentissima, che seguiva gli schemi più sperimentati della tradizione occidentale. Cimentarsi con quel genere significava aprire un nuovo filone nel teatro musicale fin de siècle, che sarebbe stato poi alimentato da opere tratte direttamente dai miti, da Elektra di Strauss (1909) a Fedra di Pizzetti (1915), sino all'Oedipus Rex di Stravinskij (1927) e oltre.

Anteponendo un antefatto dettagliato (l'atto di Illica ispirato anche al romanzo di Pierre Loti Madame Crysanthème), Puccini avrebbe ottenuto il necessario parodo, dove mettere a fuoco il conflitto che sta alla base della peripezia, lo scontro fra due civiltà, Est ed Ovest, grazie a scene, costumi ed esotismo musicale. Che un simile disegno fosse nella sua mente lo suggerisce un'altra lettera a Illica, del 5 dicembre 1901: "Ti raccomando l'ultimo quadro e pensami a quell'intermezzo, per servirmi del coro: bisogna trovare qualcosa di buono. Voci misteriose a bocca chiusa (per esempio)".

L'insistenza per impiegare il coro in un dramma dominato da un solo personaggio dovrebbe far pensare che Puccini abbia intuito la sua valenza simbolica, in uno schema tragico dalle fattezze classicheggianti. Ma le analogie con quanto accade all'eroe nell'Aiace di Sofocle chiariscono come gl'intenti del compositore non fossero affatto casuali. Aiace Telamonico si suicida gettandosi sulla spada per aver perduto l'onore, e prima di morire congeda Tecnessa che non vuole rassegnarsi all'ineluttabile:. Rivolge poi un addio al figlio, a cui augura un futuro più sereno del suo: "Figlio, deve toccarti successo migliore del padre. [...]. Pure, già ora ho motivo d'invidia per te: non hai sentimento della mia miseria. Non possedere un io che pensa; ecco l'età più cara!". Come Butterfly, che muore con onore per non aver potuto serbar vita con onore suicidandosi con la lama paterna, dopo aver congedato Suzuki imponendole di tener compagnia al figlioletto che gioca, e che infine eleva un addio disperato al suo bimbo, spinto nella stanza dalla cameriera fedele per distrarla dal suo proposito, esprimendo un pensiero volto al futuro: "Perché tu possa andar,/di là del mare,/senza che ti rimorda ai di maturi,/il materno abbandono...".

Altre prove per accreditare la deliberata scelta tragica vengono da precise simmetrie musicali nel modo di iniziare e di finire i due atti, che indicano con chiarezza un percorso drammatico in due parti. Il primo atto si chiude dolcemente con un accordo che sospende la normale risoluzione alla tonica, ed evoca la precedente uscita in scena della fanciulla, simboleggiando la sua apertura all'amore - il secondo viene sigillato da un accordo analogo alla fine di una soluzione cadenzale a piena orchestra (il tema del suicidio), e segna invece lo scioglimento del nodo, tanto che la conclusione del primo atto ci tornerà in mente a posteriori come coerente premessa a una tragedia compiutasi. Un ampio fugato a quattro parti, tra le massime espressioni tecnico-formali in musica, s'ode all'apertura del sipario, come per mettere in enfasi la funzionalità del "nido nuzïal" predisposto da Goro, - ed è ancora con un fugato, ma a tre voci e di corto respiro, che inizia il second'atto, stabilendo, come nel caso dei finali, un rapporto di causa ed effetto tra i due momenti: la casetta si è trasformata in una prigione, e la musica, nel trascinarsi stancamente sugli stessi schemi, ci fa vivere il decorso temporale ("tre anni son passati"), smascherando l'illusorietà delle convinzioni di Butterfly.

In questo schema gioca un ruolo importante la posizione del coro, a tre quinti del second'atto, che canta a bocca chiusa una dolce ninna-nanna, cullando la protagonista nell'ultimo amaro istante d'illusione, e al tempi stesso separa chiaramente la peripezia dallo scioglimento. Qui Butterfly  ha finalmente trovato la sintonia con un rarefatto paesaggio sonoro che vibra insieme a lei, voci remote che potrebbero essere misteriosi spiriti augurali, o fantasmi sereni: in una tragedia, quando canta nell'Esodo, il coro prende la parte dell'eroe, e lo assiste nel compimento del gesto finale.

Infine Cio-Cio-san soddisfa appieno le condizioni di un'eroina tragica: fanciulla quindicenne strappata all'età "dei giochi" (come recita il libretto), aderisce a un costume sociale del suo paese e del suo tempo, ma il matrimonio rappresenta ai suoi occhi il riscatto dalla miseria e dall'infame professione della geisha. La statica condizione di moglie "americana" vive solo nel suo autoconvincimento, e viene rapidamente demolita dal precipitare di eventi che la costringeranno ad accettare la legge eterna di ogni tragedia: chi ha turbato l'ordine sociale [la cosiddetta hamartia aristotelica], come lei stessa ha fatto innamorandosi di un uomo cui doveva solo procurare svago, seve ristabilirlo col proprio sacrificio [la katharsis].

Topoi riconosciuti del genere tragico, e gesti musicali precisamente coordinati ad essi, sostengono dunque la struttura della tragedia giapponese di Puccini, che purtroppo fu realizzata compiutamente soltanto nel debutto di Madama Butterfly alla Scala di Milano, il 17 febbraio 1904. Da quell'infausta serata, in cui il pubblico fischiò impietosamente, sobillato da una claque ostile al maggior compositore italiano del momento e al suo editore Ricordi, ebbe inizio un processo sistematico di revisione dell'opera, dalla macrostruttura (l'atto conclusivo fu scisso in due parti) sino ai dettagli, che la rense uno dei casi più complessi della filologia musicale di tutti i tempi.

L'opera vista a Milano era assai diversa da quella corrente. Il prim'atto, ad esempio, era intessuto di scenette di colore locale (ora tagliate), dove i giapponesi apparivano ridicoli talora sino al grottesco, offrendo a Pinkerton ripetute occasioni di schernirli con battute sprezzanti. Lo zio Yakusidé, già ubriaco all'inizio del banchetto nuziale, cantava un'aria da osteria ("All'ombra d'un kekì / sul Nunki-nunko-yama"), sollecitato a esibirsi con protervia da Pinkerton. Dal canto suo il tenente reagiva con poco garbo ai nomi poetici dei tre servi, apostrofandoli rozzamente "Muso primo, secondo e muso terzo", e non perdeva l'occasione di esprimere tutto il suo cinismo quando, nel finale, non si lasciava andare al rimpianto per la perduta felicità (l'aria "Addio, fiorito asil", aggiunta per la ripresa bresciana) e, dopo aver consegnato un po' di denaro a Sharpless, se ne andava alla chetichella borbottando "Voi del figlio parlatele, / io non oso. Ho rimorso; / sono stordito! - Addio - mi passerà".

In tal modo giapponesi e statunitensi erano posti quasi sullo stesso piano, e l'incomprensione tra civiltà era reciproca, mentre nella Butterfly attuale la presenza nipponica risulta più dignitosa, e la responsabilità del fraintendimento delle regole di una cultura diversa pesa di più sugli americani.

Anche la musica della protagonista differisce nella Butterfly milanese, a cominciare dal tema cardine di tutta l'opera, perché accompagna la protagonista al suo ingresso in scena, fissando l'immagine della donna innamorata nel suo poetico contesto  naturale; e si riaffaccia in molteplici circostanze per caratterizzare il rapporto fra il sentimento della geisha e la realtà. Qui la melodia sopra l'accordo  di tonica scende alla dominante - rimanendo dunque sul primo grado in secondo rivolto - per poi risalire alla sensibile creando una dissonanza di settima solo sull'ultimo quarto, mentre nelle versioni successive la dissonanza compare già a metà della battuta. Ne risulta una maggior fragranza armonica, visto che la sequenza si ripete in progressione su sei gradi di una scala per toni interi al basso, dove l'accordo aumentato assume la funzione di quinto grado della nuova tonalità.

Diversi sono anche i due grandi assoli tragici di Cio-Cio-san. Nel primo, "Che tua madre" i versi tratteggiano una madre visionaria, che presenta lo sfortunato bimbo all'Imperatore, invece della madre che, al mestiere della geisha preferisce il suicidio. Nella conclusione Puccini cambiò anche la melodia rendendola più drammatica, con ampi balzi verso l'acuto, e fu mosso dallo stesso intento anche nell'aria conclusiva ("Tu, tu, piccolo iddio!"), rettificando il profilo melodico da discendente ad ascendente.

Un'ultima ma sostanziale diversità va segnalata all'ascoltatore: il finale ultimo, con l'ingresso nella stanza dove si era consumata la vita di Butterfly della moglie americana di Pinkerton, che dialoga a lungo con la piccola giapponese, intonando molti dei versi che attualmente sono affidati a Sharpless, mentre Kate rimane fuori nel giardino, priva o quasi d'identità musicale. Se nella prima versione  Puccini e i librettisti vollero contrapporre direttamente le due donne, nell'ultima versione, accogliendo la prospettiva del regista Albert Carré che mise in scena l'opera a Parigi nel 1906, preferirono orientarsi verso una visione più simbolista del dramma.

Assegnando a Kate la parte attiva di giustiziera nel compimento della tragedia, invece che quello di fantasma delle private ossessioni di Cio-Cio-san, il compositore si era mosso in piena coerenza con il trattamento del genere tragico che rimane il pregio della prima Madama Butterfly, un'opera diversa da quella che conosciamo, perfettibile forse, ma dotata di quel fascino che solo l'ispirazione conferisce ai capolavori.

(Tratto dall'introduzione di Michele Girardi al libretto di Puccini, Madama Butterfly (Original 1904 Version), della Naxos)

mercoledì 7 ottobre 2020

Origine e sviluppo del corale luterano


« Corale » è aggettivo sostantivato derivante dall'espressione « cantus choralis » e nella sua accezione primitiva - ma ancor oggi viva nella terminologia tedesca (Choral) - indica il canto omofono o monofonico, cioè una melodia da eseguire choraliter (più voci all'unisono, senza accompagnamento), durante il servizio liturgico della Chiesa Cattolica o di quella Riformata. Ne sono esempi più cospiqui, da una parte il Canto gregoriano in lingua latina, dall'altra quello luterano, il tedesco Kirchenlied, il cui repertorio comprendeva non solo brani espressamente composti o derivati da melodie gregoriane oppure profane (contrafacta), ma anche canti religiosi in lingua materna anteriori alla riforma (Katholische Kirchenlieder).

Nella corrente nomenclatura, non solo italiana, il termine « corale » viene tuttavia riferito più particolarmente al Kirchenlied protestante, ma nella sua « versione » polifonica: melodia utilizzata come cantus firmus in un contesto contrappuntistico variamente elaborato (corale-mottetto, in stile « figurato »), o - caso veramente « popolare » e tipico - armonizzata a quattro voci dispari procedenti in omoritmia, con testo in versi riuniti in strofe, che trovano adeguata corrispondenza nell'intonazione musicale (corale « semplice »).

[...] Il riferimento alla tecnica di comporre sul cantus firmus implica almeno un accenno alle sue vicende storiche: per questo bisogna rifarsi addirittura ai primi documenti della polifonia occidentale, cioè ai procedimenti organali codificati nell'adespoto trattato medioevale Musica enchiriadis, redatto nel IX secolo. Qui, appunto, è una melodia non inventata, ma desunta dal repertorio gregoriano (vox principalis) che viene contrappuntata « nota contro nota » [punctus contra punctum, da cui contrappunto] da una parte inferiore (vox organalis) a distanza costante o in maniera meno rigida.

Nei secoli seguenti, questo metodo compositivo si arricchisce di procedimenti più elaborati per quel che riguarda gli elementi di libera invenzione (possibilità di intreccio delle linee; svolgimento a melismi sempre più estesi). Resta comunque fermo l'impiego, come perno della costruzione contrappuntistica, d'una melodia tradizionale, la quale passerà  tuttavia alla parte inferiore dell'organismo sonoro, sì da configurarsi sempre più come tenor (dal latino tenere), cioè come parte che « tiene » a lungo le singole note del canto dato, isolandole una dall'altra sotto le ampie fioriture delle voci superiori.

Il principio di costruire un brano a più voci sul tenor permane anche nel mottetto dei secoli XIII-XIV [...]. Esso viene conservato pure presso i maestri franco-fiamminghi del XV secolo, i quali tuttavia non presentano sistematicamente il cantus firmus nella parte più grave dell'ordito polivoco, ma lo affidano anche alle voci superiori; si deve considerare, del resto, che nel frattempo l'ambito sonoro si è esteso anche al di sotto del tenor stesso, cioè ad una parte di contratenor bassus (bassus). Inoltre, il cantus firmus, anche variamente modificato nel suo aspetto melodico e ritmico, assume rilievo particolare nell'intreccio delle parti e, nella messa, ha spesso funzione di motivo ispiratore e conduttore nella composizione dei vari brani, fino a conferire all'opera aspetto ciclico. Tali procedimenti verranno mantenuti nell'epoca aurea della polifonia (sec. XVI), e troveranno applicazione anche nella musica strumentale, in modo speciale in quella destinata alla pratica religiosa (inni, versetti e corali per organo).

[...] Per l'affermazione del corale luterano a più voci, nel suo aspetto di melodia armonizzata, dobbiamo menzionare, accanto alla grande raccolta del Praetorius, quella di Hans Leo Hassler (1564 - 1612), uscita a Norimberga negli stessi anni (Kirchengesäng. Psalmen und geistliche Lieder, auff die gemeinen Melodeyen mit vier Stimmen simpliciter gesetzet, 1608). Tuttavia, le basi di questa maniera di trattare polifonicamente il Kirchenlied si riscontrano già nel corso del Cinquecento: nella raccolta del Walther, come si è visto (raccolta giunta nel 1551 alla quinta edizione, molto ampliata), e poi soprattutto in una vasta antologia pubblicata a Wittenberg da Georg Rhaw (Newe deudsche geistliche gesenge CXXIII, 1544).

Al 1627 risale l'edizione lipsiense del Cantional oder Gesangbuch Augspurgischer Confession di Johann Hermann Schein (1586 - 1630), opera importante per il primo sviluppo del corale polifonico con basso continuo per organo o altri strumenti (« für die Organisten, Instrumentisten und Lautenisten »). Tredici anni dopo vede la luce a Berlino il Newes vollkömliches Gesangbuch Augspurgischer Confession di Johannes Crüger (1598 - 1663), altra raccolta notevole fra le centinaia di collezioni del genere stampate nel Seicento. 

Libri di corali furono pubblicati anche nel corso del XVIII secolo, ma fra essi ci limitiamo a menzionare l'importante antologia di melodie (quasi tutte del repertorio tradizionale) armonizzate da J. S. Bach, uscita postuma a Lipsia, in 4 parti, a cura di Carl Philipp Emanuel Bach e Johann Philipp Kirnberger (J. S. Bach vierstimmige Choralgesänge, 1784 - 1787).

Qui, per ragioni varie, si ferma la storia del corale polifonico, il cui immenso patrimonio verrà tuttavia rivalutato nell'Ottocento, anche in coincidenza con la « scoperta » di Bach. [...] Non vogliamo dimenticare l'attenzione riservata al corale da compositori e musicologi tedeschi, che in questo secolo [XIX] hanno operato in favore della musica sacra protestante nel loro Paese.

Oltre che come pagina a sé stante, il corale luterano ebbe in Germania enorme fortuna, nell'epoca barocca, come base per la costruzione di composizioni anche di vasto respiro, in più parti (mottetti, cantate sacre, passioni e anche oratori): in esse il corale poteva essere presentato nella sua veste tipica di melodia armonizzata (a 4 o più voci, anche in diverse « versioni », secondo il testo da intonare), o elaborato in complesse trame contrappuntistiche, o infine impiegato in arie e pezzi d'insieme per « soli », nonché in brani puramente strumentali. Le opere sacre di Bach, fra cui la Passione Secondo Matteo (1729), bastano a fornire documenti d'arte eccelsa.

[...] [Nell'ottocento, Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809-1847), Johannes Brahms (1833-1897),] Anton Bruckner (1824 - 1896) e Max Reger (1873 - 1916) hanno, fra gli altri, variamente trattato il corale, anche in composizioni non soltanto vocali; Gustav Mahler (1860 - 1911), nell'8^ sinfonia (Sinfonia dei mille, 1906), basa la parte iniziale sull'inno latino Veni Creator Spiritus. In tempi più recenti abbiamo casi interessanti in Arthur Honegger (1892 - 1955), per esempio in Le Roi David (1921), specialmente alla conclusione della terza parte (La mort de David); mentre riscontriamo analogie con il corale luterano anche nelle melodie del ciclo Das Marienleben (1924) per soprano e pianoforte di Paul Hindemith (1895 - 1963).

Ma è forse più singolare l'accenno ad un maestro italiano e di fede cattolica, Lorenzo Perosi (1872 - 1956), che nei suoi oratori presenta armonizzazioni di corali non luterani, realizzate tuttavia secondo la tecnica costruttiva del Kirchenlied evangelico. [...] Negli oratori perosiani si trovano anche diversi saggi di cantus firmi intonati all'unisono dal coro con l'accompagnamento dell'orchestra, come la sequenza del « Corpus Domini » Lausa Sion Salvatorem (La passione di Cristo, 1898). [Esempi affini appaiono anche in Goffredo Petrassi e in Karlheinz Stockhausen].

(Dionisi, Toffoletti, Dardo, Studi sul Corale - Storia, tecnica, analisi, esercitazioni, Zanibon, pagg. 7 - 22)