sabato 18 gennaio 2025

L'imitazione della natura

Nei testi teorici della prima metà del Settecento compaion spesso riflessioni sui rapporti tra arte e natura. Soprattutto in Francia vennero fondate le basi per una ricerca sui poteri descrittivi della musica, destinata a prolungarsi anche nei secoli successivi. L'abate Du Bos, uno dei più illlustri pensatori del tempo, [...] individuò il piacerre delle arti nella capacià di imitare quegli aspetti della natura che generano passioni. Ma questo processo, secondo il teorico, andava correlato alla dimensione fittizia delle emozioni suscitate, le quali dovrebbero manifestarsi in forma attenuata proprio perché non generate direttamente dalla realtà. In questo senso le teorie di Du Bos si collegavano alla sistematica emarginazione dell'eccesso distintiva del gusto francese.

Qualche anno dopo Charles Batteux sintetizzò tutto il dibattito sulle proprietà mimetiche delle arti nel suo fondamentale saggio Les Beaux arts réduits à un m
ême principe (1746). Il trattato parte da Aristotele per riflettere sulla vera finalità di letteratura, musica, architettura e pittura. Ogni esperienza artistica viene commisurata ai concetti di genio e gusto: il primo ha il compito di creare, il secondo di giudicare. Nessuna opera può esistere senza una mediazione tra queste due componenti, che portano l'artista a sfogare la propria libertà espressiva, senza tuttavia superare mai i confini del controllo emotivo. Secondo Batteuxla natura non deve essere riprodotta in maniera servile, ma deve essere addirittura migliorata dall'artista [...].

Occorreva dunque eliminare, stando a queste affermazioni, tutti quegli aspetti della realtà che potevano offendere il gusto del giusto mezz, tipico della cultura francese; perché la natura non deve spaventare o disgustare [...], ma suscitare piacere nel fruitore. Oggetto delle arti non può dunque essere «il vero che è [...] ma il vero che può essere, il bel vero, da rappresentare come se esistesse realmente, e con tutti i perfezionamenti che può ricevere».

Questo vero truccato e ritoccato trovò tante manifestazioni nella produzione musicale del tempo. Naturalmente il terreno più fertile fu il repertorio francese: soprattutto le composizioni per clavicembalo. A Parigi fu subito chiaro quanto l'intento rappresentativo potesse contribuire all'affermazione della scrittura strumentale, da sempre considerata al servizio della danza e della musica vocale.

François Couperin mise in pratica queste teorie in quattro raccolte clavicembalistiche [...] nelle quali si riconoscono perfettamente i principi estetici poi sintetizzati da Batteux. La natura è fonte primaria di questi brani, che alludono esplicitamente a immagini visive o sonore: lo stesso compositore precisò i concetto nella prefazione al primo libro, invitando l'ascoltatore a mettere in relazione i titoli all'oggetto dell'ispirazione piuttosto che alla riproduzione clavicembalistica. Couperin in sostanza immaginava la possibilità che il pubblico non rilevasse collegamenti chiari tra i titoli e la scrittura musicale. Ma il suo scrupolo era eccessivo, perché le numerose pagine imitative della raccolta riescono ancora oggi a fotografare in maniera efficace alcuni aspetti del mondo all'aria aperta [...]. Tutte cartoline viventi, che non sconfinano mai dal recinto dell'atmosfera salottiera, confermando la fedeltà assoluta alla nozione francese di gusto, inteso come ricerca della giusta misura. Anche il principio delineato da Batteux in merito alla riproduzione perfezionata della natura trova una concreta maniestazione in queste pagine per clavicembalo, che sfrondano il reale di ogni aspeto repellente o inquietante: nessuna tempesta, nessun animale feroce, nessun evento atmosferico potenzialmente distruttivo. Couperin canta la bellezza del creato, rifiutandosi di riprodurre le forze negative del mondo naturale; e quando lo fa, [...] l'impressione è che [...] siano così forzat[e] da sfiorare la parodia.

Rameau nei suoi brani per clavicembalo composti negli anni Venti del Settecento rimase fedele al principio dell'imitazione naturale [...], aggiungendo un tocco di umorismo alla componente descrittiva: meno abbellimenti decorativi, ma più ricerca nell'identità espressiva delle singole immagini. [...]


Nei paesi tedeschi la componente descrittiva fu meno esplorata che in Francia. Johann Jacob Froberger ad esempio fu più interessato [...] alla musica assoluta, priva di riferimenti programmatici; ma quando questi compaiono, come accade nell'Allemande faite en passant le Rhin, dans une barque en gran péril, quello che noi avvertiamo non è certo il movimento di una barca che attraversa un fiume irritato dalle intemperie, ma piuttosto il compianto per un destino avverso che il compositore espresse in numerosi lamenti funebri.


Anche i clavicembalisti italiani rimasero piuttosto indifferenti alle suggestioni imitative: Domenico Scarlatti [...] e Bernardo Pasquini [...] si interessarono soprattutto alle forme pure, prive di contenuti extramusicali [...]. In questo scenario emerse difatti in maniera anomala la figura di Antonio Vivaldi che invece affidò a una trentina di lavori titoli descrittivi [...]. Non stupisce pertanto il fatto che questa produzione abbia goduto di ampia fortuna in Francia, divenendo spesso oggeto di riduzioni per piccoli gruppi da camera.

(Andrea Malvano, Storia della musica. Dal Settecento all'età contemporanea, Le Monnier Università
, pagg. 7-10)

Banchetto musicale e pasto sacrificale


Comunemente percepito come un momento di svago, il banchetto musicale rimanda in realtà al rituale dell'offerta, dal momento che il pranzo, soprattutto pubblico, è sempre il consumo di un donativo, sia in quanto frutto della terra, sia come offerta dei commensali: pertanto diventa atto sacrificale. Il principio sussunto nell'eucaristia cristiana è il medesimo. Il dono, nella sua espressione più alta, quado rivolto a Dio, cerca un favore ma, dietro la gioia manifestata, confessa il timore. Tale rituale gestisce la relazione con il dominate in forma preventiva: nell'entusiasmo apparente dell'offerta, la pratica musicale gestisce insieme il tempo in cui si attende e si spera nella restituzione. Per questo il pasto raramente è disgiunto dalla musica. Similmente il mito delle tre Grazie, che esprime la strategia del dono - dare, ricevere, restituire - raffigura le donne danzanti, esprimendo nel movimento la componente musicale del rito.

(Articolo tratto da Storia della musica - Dalle origini al Seicento, di Davide Daolmi, Le Monnier Università, pag. 13)

mercoledì 15 gennaio 2025

Piega e infinito in area tedesca

La filosofia di Leibniz, elaborata a cavallo tra Sei e Settecento, può aiutare a capire tanti aspetti del repertorio tedesco coevo. Principio fondante dell'estetica barocca, secondo il filosofo, è il concetto di piega [...]: una venatura, paragonabile alla marmorizzazione della materia, che diventa elemento distintivo di tutte le arti. Per Leibniz non è la piega in sé a definire l'originalità del barocco, lo è piuttosto la sua tendenza a prolungarsi all'infinito, debordando oltre i confini imposti dalla dimensione finita della creazione aristica. Barocca, in questo senso, è quella figura che sembra fuoriuscire dalla cornice. Le sculture di Johann Joseph Christian [...], fatte di curve che danno l'impressione di gonfiare in maniera sinuosa i corpi, sono in ambito tedesco le migliori espressioni di questo pensiero. Ma il concetto si estende anche all'architettura: basti pensare all'interno delle chiese barocche (costruite in area tedesca spesso nella prima metà del Settecento), che si contorcono tutte (altare compreso)  nel tentativo di contenere all'interno delle pareti una tensione spirituale rivolta verso la cupola. Tutte queste esperienze si prolungano nelle pieghe melodiche della musica bachiana di inizio settecento, che [...] tende ad arricciare le sue linee verso un punto di fuga apparentemente collocato all'infinito.

Per Leibniz è il labirinto [...] il luogo capace di trovare una mediazione tra pieghe e infinito: i suoi percorsi contorti possono dare l'imprensione dell'eterno vagare. I giochi di specchi, tipici dell'architettura barocca [...], elaborano a stessa dialettica: stanze nelle quali i riflessi danno l'impressione di prorogare la stessa immagine all'infinito, oppure trompe l'oeils che sfruttano la rifrazione per creare la sensazione dell'allargamento spaziale. Nella musica tedesca tra Sei e Settecento l'immagine del labirinto si coglie in quegli intricati passaggi polifonici che talvolta danno all'ascoltatore la sensazione di perdere l'orientamento. Mentre gli specchi si trasformano nelle continue imitazioni o progressioni di figure melodiche, le quali si riflettono in voci diverse o viaggiando attraverso i gradi della scala producendo la fantasia della dilatazione infinita.

Una delle più celebri intuizioni sulla musica di Leibniz è condensata in questa affermazione: «La musica è un nascosto esercizio di aritmetica dello spirito inconsapevole di calcolare». Il filosofo sostiene che il piacere dell'ascolto provenga da un rapporto tra consonanze e dissonanze basato su leggi matematiche, ma che le operazioni di calcolo sottese a queste leggi avvengano senza lasciare una traccia consapevole. In sostanza l'uomo, fruendo la musica, farebbe calcoli nella sua testa senza accorgersene. Solo Dio infatti, secondo Leibniz, sarebbe in grado di avere una conoscenza distinta del mondo (e quindi anche della musica), mentre all'animo umano sarebbe concessa esclusivamente una percezione confusa delle cose.

Questo pensiero è rappresentato anche dall'immagine del cono, ricorrente nel barocco, la figura solida che ripiega tutta la materia in una forma rivolta verso l'alto, e quindi verso Dio. Nella musica tedesca la stessa figura si può cogliere nella frequente convergenza tra unità e varietà («omnis in unum»). Il materiale viene scomposto da molteplici elaborazioni, che tuttavia possono essere sempre ricomposte in una visione conica, protesa verso una sola origine: il tema (o soggetto), inteso come elemento che genera l'intera composizione.

(Andrea Malvano, Storia della musica. Dal Settecento all'età contemporanea, Le Monnier Università, pagg. 1-3)