sabato 5 aprile 2025

Le vere origini del Requiem di Mozart


Nel mese di luglio [1791] a Wolfgang venne commissionata una grande Messa di Requiem, riguardo alla quale si è detto tutto e il contrario di tutto, ossia che il committente avrebbe pagato molto bene, a patto però di rimanere nel più assoluto anonimato e che dopo un attimo di sconcerto, dovuto anche al modo con il quale gli era stata ordinata la composizione, non potendo rifiutare un lavoro così importante, il Maestro si sarebbe messo subito al lavoro, pieno di oscuri presentimenti riguardo al suo futuro. In realtà le cose non andarono proprio così. Il conte Franz von Walsegg, ricco proprietario terriero, viveva nel suo castello di campagna a Neustadt; era appassionatissimo di musica, ma mediocre compositore e nutriva l'ambizione di eseguire nei suoi salotti brani musicali che lasciava intendere fossero suoi, mentre in realtà erano composizioni comprate a caro prezzo a Vienna da autori diversi e copiate da lui a mano. Per il Conte si trattava di un gioco innocente, che permetteva agli esecutori e agli ascoltatori di indovinare chi fossero i veri autori di quelle musiche. Il nobile Walsegg era un giovane di ventotto anni, che aveva sposato la nobile Maria Anna von Flamberg, morta il 14 febbraio 1791 a soli ventuno anni di età. Dopo aver fatto scolpire un monumento dedicato all'armata scomparsa, scultura che fece posizionare nel parco davanti al castello, lo sposo decise di commemorare degnamente il triste evento attraverso l'esecuzione di una Messa di Requiem appositamente composta. Questa volta, data l'importanza e la serietà dell'avvenimento, avrebbe dichiarato palesemente, senza ricorrere a indovinelli di sorta, che il lavoro era di sua composizione. La scelta sull'autore che avrebbe dovuto scrivere al suo posto la Messa funebre, cadde su Mozart. Il perché di questa scelta può essere trovato nel fatto che a Vienna Wolfgang era conosciuto, anche se assai meno di un tempo, come grande esecutore, come compositore di lavori strumentali, come autore di importanti melodrammi, ma non come creatore di musica sacra; infatti l'ultimo lavoro di quel genere, la Missa Solemnis in do min. K[V] 427, risaliva al 1783 ed era stato eseguito solamente a Salisburgo; non c'era nessun pericolo, quindi, che qualche orecchio fino potesse fare accostameti stilistici inopportuni. Inoltre Walsegg sapeva che il Maestro stava attraversando un momento difficile dal punto di vista economico e che riusciva a comporre con grande rapidità. Nel mese di luglio, quindi, alla porta dell'appartameto di Mozart aveva bussato un signore severamente vestito: Anton Leitgeb aveva avuto l'incarico di consegnare a Wolfgang una lettera, nella quale si chiedeva per quale somma di denaro sarebbe stato disposto a scrivere una Messa di Requiem, "rinunciando però alla paternità del lavoro"; naturalmente tutta la faccenda sarebbe dovuta rimanere nel segreto più assoluto. Anche se molto sconcertato, Mozart accettò la strana commissione, chiedendo il compenso di cento ducati, dei quali cinquanta subito e cinquanta a lavoro ultimato. L'anticipo gli venne pagato alcuni giorni dopo attraverso un ufficio legale di Vienna, che stabilì con chiarezza i termini dell'accordo, primo fra tutti quello dell'assoluta segretezza. La lettera consegnata al maestro da Anton Leitgeb non era firmata, ma era come se lo fosse, perché recava in calce il sigillo della nobile famiglia; quindi Mozart seppe subito chi fosse il suo committente (i cui traffici musicali, del resto, non dovevano essere del tutto ignoti ai compositori viennesi). È vero che il Maestro mantenne il segreto, non parlandone neppure a Konstanze ed è anche vero che si pentì ben presto di aver accettato una richiesta così inconsueta, la quale creava problemi alla sua coscienza di artista. Come avrebbe dovuto scrivere quella composizione così ampia e articolata? Alla Mozart oppure alla... Walsegg? Viste le premesse, risulta ovvia la malavoglia con la quale si sarebbe dedicato a questo lavoro, tanto che prima si immerse nella composizione dell'opera La clemenza di Tito, [...] Flauto Magico [...] e [...] il Concerto per clarinetto e orchestra K[V] 622.

Si può dunque comprendere il motivo per il quale continuassero ad arrivargli lettere, ovviamente non firmate, ma siglate col sigillo del conte Walsegg, volte a sollecitare il rispetto del contratto stipulato. Mozart si mise al lavoro soltanto dopo che il Flauto Magico ebbe avuto la sua prima rappresentazione (in quell'estate aveva forse composto solo l'Introitus, inviato subito al committente). [...] Completò e spedì il Kyrie, poi abbozzò, completandole quasi interamente, le varie parti della Sequenza: Dies Irae, Tuba Mirum, Rex Tremendae, Recordare, Confutatis. L'abbozzo del Lacrymosa s'interruppe all'ottava battuta, momento in cui la morte fermò per sempre la mano di Mozart.

Qualche tempo dopo la scomparsa del Maestro, il conte Walsegg richiese l'intero lavoro, pagando alla vedova gli altri cinquanta ducati, come da contratto. Konstanze sapeva che suo marito stava scrivendo una Messa funebre commissionatagli da un misterioso personaggio e sapeva anche che si trattava del conte Walsegg; ciò che ignorava era la falsa paternità del lavoro, per cui fece circolare la voce che il Requiem era stato interamente composto da Wolfgang e lo fece terminare (per motivi contrattuali [...]) dall'ultimo allievo del Maestro: Süßmayr. Credo che ci sia stata una ragione ben precisa perché la scelta cadesse sul giovane Süßmayr: oltre ai suoi meriti e alla sua assidua vicinanza con Wolfgang durante la composizione di molte pagine del Requiem, egli riusciva ad imitare molto bene la grafia di Mozart e quindi era assai probabile che il committente non si accorgesse dell'inganno, chiedendo la restituzione del compenso versato. Il lavoro venne così completato, copiato e consegnato, anche se ciò non impedì che Konstanze organizzasse la prima esecuzione assoluta della Messa di Requiem a Vienna il 2 gennaio 1793. Poco più di un anno dopo, il 14 febbraio 1794, per commemorare il terzo anniversario della morte della giovane sposa, il conte Walsegg diresse la "sua" Messa nell'abbazia di Neustadt.

A mio parere la storia del Requiem finisce qui, anche se in realtà potrebbe continuare con un elenco infinito di polemiche e diatribe che ci hanno accompagnato fino ai nostri giorni. Il Requiem è sì di Mozart, ma al tempo stesso non lo è; è certamente scritto da un grandissimo musicista, da un grande creatore di atmosfere, di sensazioni e di architetture musicali perfette, ma, detto questo, potremmo aver detto tutto, poiché stilisticamente non appartiene a Mozart, al quale va l'indubbio merito di aver splendidamente realizzato ciò che gli era stato commissionato. [...]

(Tratto dal libro Il simbolo del dolore in Mozart di Luigi Nicolini, Rugginenti Editore, pagg. 113-116)

mercoledì 12 marzo 2025

Il concetto di "simbolo musicale"


[...] Che cos'è un simbolo musicale? È un piccolo frammento melodico [...] o una figura tematica o un segno stilistico che rimanda a un concetto o a un sentimento o a una situazione convenzionalmente collegata a quel frammento o tema o stile. È un contrassegno che permette di connettere una parte musicale a qualche aspetto extra-sonoro (concreto o concettuale, emotivo o culturale). Per realizzare la connessione occorre saper individuare il simbolo, a volte esso è facilmente visibile in partitura, ma difficile da individuare all'ascolto, questo sia per una coerenza interna al costrutto musicale che ingloba e, quindi, nasconde il simbolo, oppure perché il compositore decide di tenerlo celato, in modo che sia in grado di decifrarlo solo chi neè già a conoscenza [...]. Infine il simbolo può essere inteso sui generis, come un'allegoria molto ampia,  in tal senso un'intera composizione può venir considerata metaforica (è il caso di tutte quelle musiche a programma che rimandano a una descrizione programmatica).

Sui simboli in musica si legge qualche cosa, ma se ne sa ben poco, eppure è tema affascinante. Le enciclopedie non approfondiscono la tematica, né le storie della musica, eppure è argomento vecchio; di simboli si può parlare nel caso delle formule del Canto gregoriano, nel caso dei Tropi e delle Sequenze, metafore musicali che più tardi vengono riprese nella polifonia dell'Ars antiqua. Allegorie musicali sono presenti nella produzione dei Trovatori e Trovieri (si pensi al trobar clus), così come formule aritmetiche, alchemiche, magiche, che vengono tradotte in suoni e che rimandano a significati  più o meno segreti. Durante il Rinascimento si riscontrano diverse figure musicali che rinviano a precisi stati d'animo, ma è col Barocco che questo modo di rapportare la musica alle emozioni trova terreno fertile, si consolida e si sviluppa. La Teoria degli affetti è una codificazione che mette in relazione gli elementi musicali ai sentimenti [...]. Non solo elementi tematici, ma anche relativi alla tonalità. È nel Settecento, secolo che ama le classificazioni e i procedimenti schematici, che le relazioni fra le metaforiche figurazioni melodiche e gli affetti sono molto utilizzate. Col Romanticismo che, al contrario, vuole personalizzare ogni aspetto della musica, queste relazioni codificate non interessano, e scompariranno quasi del tutto durante il Novecento.

[...] la musica [...] può essere intesa come linguaggio simbolico. Il suo rapporto con gli aspetti psichici ed emotivi è antichissimo, in maniera precisa potremmo rifarci alla cosiddetta Teoria dell'ethos, risalente a molti secoli prima di Cristo. [...] Il numero è simbolo religioso (ovvero che crea un legame) che collega le proporzioni dell'universo agli equilibri della musica (cosmologia che si perderà con la progressiva razionalizzazione della cultura). [...] i filosofi dell'Età classica [...] rirprendono questa "teoria", che risorgerà nel Rinascimento grazie a teorici/musicisti quali Zarlino e [Vincenzo] Galilei. [...] Compito del musicista è [...] quello di rappresentare gli affetti attraverso una serie di formule che imitano il reale, come le onomatopee o le associazioni tra grafismi e significati (i madrigalismi), oppure come le citazioni o il ricorrere ad aspetti tipici dell'espressività convenzionale dell'epoca o dello stile dell'Autore, sono tutti questi elementi che costituiscono una segnaletica esplicita dalla scrittura al suono alla percezione.

Alla musica appartengono varie tipologie simboliche, sia formalistiche sia contenutistiche, in ogni caso si trattadi ri-utilizzare formule melodiche o stilistiche in maniera che il fruitore le decodifichi in un messaggio chiaro e diretto, collegandole alla realtà extra-musicale. Non sempre la comprensione è facile, a volte il musicista non vuole essere esplicito e nasconde il simbolo fra le parti musicali, in modo che il messaggio arrivi solo a chi già lo aspetta e ne conosce la chiave di lettura. Il simbolo è un media, ha dunque il compito di mediare fra due realtà, quella musicale e quella reale e, ovviamente, lo può fare in tanti modi e con infinite varianti. [...]

L'Affektenlehre e la Figurenlehre sono codificazioni che appartengono alla prima metà del Seicento: [...] tali codificazioni risalgono al Rinascimento e proseguono, con variazioni tipologiche, durante il Barocco, soprattutto grazie all'abbinamento fra musica e retorica. La musica di Bach è [...] un ottimo banco di prova per l'interpretazione dei simboli musicali. In Bach [...] il simbolo è ripiegato ovvero rimanda ad altri simboli convenzionali (prevalentemente religiosi). nel gioco dei rinvii si forma il senso complessivo dell'opera, costituito da un sistema organico di simboli. Invece di Mozart i simboli liberano la realtà psicologica [...].

Secondo Deryck Cooke è il sistema tonale quello che più di ogni altro ha saputo sfruttare le qualità espressive dei suoni, in quanto gli intervalli, le melodie, i temi, gli accordi, i ritmi, le dinamiche, le tonalità stesse funzionano come segni motivati, ossia si accordano perfettamente agli svolgimenti espressivi, creando una simbologia stretta e precisa per chiunque padroneggi questo linguaggio.

Ciò che ci porta a sottovalutare l'importanza dei simboli è l'intenderli con la mentalità romantica, ma essi non sono, come ben precisa Schering, delle superficiali figure barocche o degli astratti stereotipi comunicativi, al contrario, sono portatori di una ricca varietà espressiva, resa chiara proprio dalla convenzione sulla quale poggia il simbolo, e addirittura possono esprimere una visione di vita; inoltre il senso del simbolo non è mai concluso ma si rigenera di volta in volta, a seconda delle situazioni e delle epoche storiche. [...]

Non v'è dubbio che gli elementi simbolici della musica abbiano relazioni con i moti della psiche, quindi sono analizzabili anche con l'aiuto di discipline quali la psicologia, la psicanalisi e, in generale, con materie che studiano il profondo [...], ma pure con discipline scientifiche, come la semiotica e la linguistica strutturale, anche inquesto caso, seguendo un'analogia con la struttura della lingua, l'importanza del simbolo è fondamentale. [...]

È con l'ultimo Beethoven che inizia ciò che Thomas Mann chiama l'Abschied, lo spettrale commiato dalla musica della tradizione classica, non solo dalle forme e dalla tonalità, ma dall'impianto espressivo frutto di una visione del mondo sostanzialmente in armonia. La crisi di questa rappresentazione dura a lungo, percorrendo tutto l'Ottocento, [...] con un momento di grande profondità in Wagner, fino all'ultimo disperato addio alla forma classica di Mahler, dove la musica si fa carico di simbologie di ogni tipo [...]: in questo caso il simbolo diventa uno spettro, una sorta di spirito demoniaco che irrompe in un tessuto musicale oramai liso.

Wagner è il principale tratto d'unione fra l'uso del simbolo musicale nella cultura tedesca e quella francese, dove Wagner è venerato proprio per la sua simbologia tematica legata ai motivi conduttori, simbologia vastissima che copre un campo semantico ogni comprensivo. Baudelaire è uno dei primi letterati parigini a filtrare le grandi allegorie wagneriane, poi il clima culturale muterà, ma non verrà mai meno l'importanza del simbolo; [...] Maeterlinck e Debussy [...] scriveranno il libretto e la musica del dramma lirico Pelléas et Mélisande, un'opera ricca di simbologie, ma totalmente differenti da quelle wagneriane: qui il simbolo è tensione verso l'inesprimibile, verso l'ineffabile, il simbolo si fa atopico ed è leggibile in maniera non univoca, [...] non c'è più una relazione fra un segno musicale e un aspetto biografico, anzi non c'è nemmeno un elemento distintivo che possa, in qualche modo, essere ricondotto a un contenuto semantico. [...]

(Tratto dalla Prefazione di Renzo Cresti al libro Il simbolo del dolore in Mozart di Luigi Nicolini, Rugginenti Editore)

sabato 18 gennaio 2025

L'imitazione della natura

Nei testi teorici della prima metà del Settecento compaion spesso riflessioni sui rapporti tra arte e natura. Soprattutto in Francia vennero fondate le basi per una ricerca sui poteri descrittivi della musica, destinata a prolungarsi anche nei secoli successivi. L'abate Du Bos, uno dei più illlustri pensatori del tempo, [...] individuò il piacerre delle arti nella capacià di imitare quegli aspetti della natura che generano passioni. Ma questo processo, secondo il teorico, andava correlato alla dimensione fittizia delle emozioni suscitate, le quali dovrebbero manifestarsi in forma attenuata proprio perché non generate direttamente dalla realtà. In questo senso le teorie di Du Bos si collegavano alla sistematica emarginazione dell'eccesso distintiva del gusto francese.

Qualche anno dopo Charles Batteux sintetizzò tutto il dibattito sulle proprietà mimetiche delle arti nel suo fondamentale saggio Les Beaux arts réduits à un m
ême principe (1746). Il trattato parte da Aristotele per riflettere sulla vera finalità di letteratura, musica, architettura e pittura. Ogni esperienza artistica viene commisurata ai concetti di genio e gusto: il primo ha il compito di creare, il secondo di giudicare. Nessuna opera può esistere senza una mediazione tra queste due componenti, che portano l'artista a sfogare la propria libertà espressiva, senza tuttavia superare mai i confini del controllo emotivo. Secondo Batteuxla natura non deve essere riprodotta in maniera servile, ma deve essere addirittura migliorata dall'artista [...].

Occorreva dunque eliminare, stando a queste affermazioni, tutti quegli aspetti della realtà che potevano offendere il gusto del giusto mezz, tipico della cultura francese; perché la natura non deve spaventare o disgustare [...], ma suscitare piacere nel fruitore. Oggetto delle arti non può dunque essere «il vero che è [...] ma il vero che può essere, il bel vero, da rappresentare come se esistesse realmente, e con tutti i perfezionamenti che può ricevere».

Questo vero truccato e ritoccato trovò tante manifestazioni nella produzione musicale del tempo. Naturalmente il terreno più fertile fu il repertorio francese: soprattutto le composizioni per clavicembalo. A Parigi fu subito chiaro quanto l'intento rappresentativo potesse contribuire all'affermazione della scrittura strumentale, da sempre considerata al servizio della danza e della musica vocale.

François Couperin mise in pratica queste teorie in quattro raccolte clavicembalistiche [...] nelle quali si riconoscono perfettamente i principi estetici poi sintetizzati da Batteux. La natura è fonte primaria di questi brani, che alludono esplicitamente a immagini visive o sonore: lo stesso compositore precisò i concetto nella prefazione al primo libro, invitando l'ascoltatore a mettere in relazione i titoli all'oggetto dell'ispirazione piuttosto che alla riproduzione clavicembalistica. Couperin in sostanza immaginava la possibilità che il pubblico non rilevasse collegamenti chiari tra i titoli e la scrittura musicale. Ma il suo scrupolo era eccessivo, perché le numerose pagine imitative della raccolta riescono ancora oggi a fotografare in maniera efficace alcuni aspetti del mondo all'aria aperta [...]. Tutte cartoline viventi, che non sconfinano mai dal recinto dell'atmosfera salottiera, confermando la fedeltà assoluta alla nozione francese di gusto, inteso come ricerca della giusta misura. Anche il principio delineato da Batteux in merito alla riproduzione perfezionata della natura trova una concreta maniestazione in queste pagine per clavicembalo, che sfrondano il reale di ogni aspeto repellente o inquietante: nessuna tempesta, nessun animale feroce, nessun evento atmosferico potenzialmente distruttivo. Couperin canta la bellezza del creato, rifiutandosi di riprodurre le forze negative del mondo naturale; e quando lo fa, [...] l'impressione è che [...] siano così forzat[e] da sfiorare la parodia.

Rameau nei suoi brani per clavicembalo composti negli anni Venti del Settecento rimase fedele al principio dell'imitazione naturale [...], aggiungendo un tocco di umorismo alla componente descrittiva: meno abbellimenti decorativi, ma più ricerca nell'identità espressiva delle singole immagini. [...]


Nei paesi tedeschi la componente descrittiva fu meno esplorata che in Francia. Johann Jacob Froberger ad esempio fu più interessato [...] alla musica assoluta, priva di riferimenti programmatici; ma quando questi compaiono, come accade nell'Allemande faite en passant le Rhin, dans une barque en gran péril, quello che noi avvertiamo non è certo il movimento di una barca che attraversa un fiume irritato dalle intemperie, ma piuttosto il compianto per un destino avverso che il compositore espresse in numerosi lamenti funebri.


Anche i clavicembalisti italiani rimasero piuttosto indifferenti alle suggestioni imitative: Domenico Scarlatti [...] e Bernardo Pasquini [...] si interessarono soprattutto alle forme pure, prive di contenuti extramusicali [...]. In questo scenario emerse difatti in maniera anomala la figura di Antonio Vivaldi che invece affidò a una trentina di lavori titoli descrittivi [...]. Non stupisce pertanto il fatto che questa produzione abbia goduto di ampia fortuna in Francia, divenendo spesso oggeto di riduzioni per piccoli gruppi da camera.

(Andrea Malvano, Storia della musica. Dal Settecento all'età contemporanea, Le Monnier Università
, pagg. 7-10)

Banchetto musicale e pasto sacrificale


Comunemente percepito come un momento di svago, il banchetto musicale rimanda in realtà al rituale dell'offerta, dal momento che il pranzo, soprattutto pubblico, è sempre il consumo di un donativo, sia in quanto frutto della terra, sia come offerta dei commensali: pertanto diventa atto sacrificale. Il principio sussunto nell'eucaristia cristiana è il medesimo. Il dono, nella sua espressione più alta, quado rivolto a Dio, cerca un favore ma, dietro la gioia manifestata, confessa il timore. Tale rituale gestisce la relazione con il dominate in forma preventiva: nell'entusiasmo apparente dell'offerta, la pratica musicale gestisce insieme il tempo in cui si attende e si spera nella restituzione. Per questo il pasto raramente è disgiunto dalla musica. Similmente il mito delle tre Grazie, che esprime la strategia del dono - dare, ricevere, restituire - raffigura le donne danzanti, esprimendo nel movimento la componente musicale del rito.

(Articolo tratto da Storia della musica - Dalle origini al Seicento, di Davide Daolmi, Le Monnier Università, pag. 13)

mercoledì 15 gennaio 2025

Piega e infinito in area tedesca

La filosofia di Leibniz, elaborata a cavallo tra Sei e Settecento, può aiutare a capire tanti aspetti del repertorio tedesco coevo. Principio fondante dell'estetica barocca, secondo il filosofo, è il concetto di piega [...]: una venatura, paragonabile alla marmorizzazione della materia, che diventa elemento distintivo di tutte le arti. Per Leibniz non è la piega in sé a definire l'originalità del barocco, lo è piuttosto la sua tendenza a prolungarsi all'infinito, debordando oltre i confini imposti dalla dimensione finita della creazione aristica. Barocca, in questo senso, è quella figura che sembra fuoriuscire dalla cornice. Le sculture di Johann Joseph Christian [...], fatte di curve che danno l'impressione di gonfiare in maniera sinuosa i corpi, sono in ambito tedesco le migliori espressioni di questo pensiero. Ma il concetto si estende anche all'architettura: basti pensare all'interno delle chiese barocche (costruite in area tedesca spesso nella prima metà del Settecento), che si contorcono tutte (altare compreso)  nel tentativo di contenere all'interno delle pareti una tensione spirituale rivolta verso la cupola. Tutte queste esperienze si prolungano nelle pieghe melodiche della musica bachiana di inizio settecento, che [...] tende ad arricciare le sue linee verso un punto di fuga apparentemente collocato all'infinito.

Per Leibniz è il labirinto [...] il luogo capace di trovare una mediazione tra pieghe e infinito: i suoi percorsi contorti possono dare l'imprensione dell'eterno vagare. I giochi di specchi, tipici dell'architettura barocca [...], elaborano a stessa dialettica: stanze nelle quali i riflessi danno l'impressione di prorogare la stessa immagine all'infinito, oppure trompe l'oeils che sfruttano la rifrazione per creare la sensazione dell'allargamento spaziale. Nella musica tedesca tra Sei e Settecento l'immagine del labirinto si coglie in quegli intricati passaggi polifonici che talvolta danno all'ascoltatore la sensazione di perdere l'orientamento. Mentre gli specchi si trasformano nelle continue imitazioni o progressioni di figure melodiche, le quali si riflettono in voci diverse o viaggiando attraverso i gradi della scala producendo la fantasia della dilatazione infinita.

Una delle più celebri intuizioni sulla musica di Leibniz è condensata in questa affermazione: «La musica è un nascosto esercizio di aritmetica dello spirito inconsapevole di calcolare». Il filosofo sostiene che il piacere dell'ascolto provenga da un rapporto tra consonanze e dissonanze basato su leggi matematiche, ma che le operazioni di calcolo sottese a queste leggi avvengano senza lasciare una traccia consapevole. In sostanza l'uomo, fruendo la musica, farebbe calcoli nella sua testa senza accorgersene. Solo Dio infatti, secondo Leibniz, sarebbe in grado di avere una conoscenza distinta del mondo (e quindi anche della musica), mentre all'animo umano sarebbe concessa esclusivamente una percezione confusa delle cose.

Questo pensiero è rappresentato anche dall'immagine del cono, ricorrente nel barocco, la figura solida che ripiega tutta la materia in una forma rivolta verso l'alto, e quindi verso Dio. Nella musica tedesca la stessa figura si può cogliere nella frequente convergenza tra unità e varietà («omnis in unum»). Il materiale viene scomposto da molteplici elaborazioni, che tuttavia possono essere sempre ricomposte in una visione conica, protesa verso una sola origine: il tema (o soggetto), inteso come elemento che genera l'intera composizione.

(Andrea Malvano, Storia della musica. Dal Settecento all'età contemporanea, Le Monnier Università, pagg. 1-3)