Nei testi teorici della prima metà del Settecento compaion spesso riflessioni sui rapporti tra arte e natura. Soprattutto in Francia vennero fondate le basi per una ricerca sui poteri descrittivi della musica, destinata a prolungarsi anche nei secoli successivi. L'abate Du Bos, uno dei più illlustri pensatori del tempo, [...] individuò il piacerre delle arti nella capacià di imitare quegli aspetti della natura che generano passioni. Ma questo processo, secondo il teorico, andava correlato alla dimensione fittizia delle emozioni suscitate, le quali dovrebbero manifestarsi in forma attenuata proprio perché non generate direttamente dalla realtà. In questo senso le teorie di Du Bos si collegavano alla sistematica emarginazione dell'eccesso distintiva del gusto francese.
Qualche anno dopo Charles Batteux sintetizzò tutto il dibattito sulle proprietà mimetiche delle arti nel suo fondamentale saggio Les Beaux arts réduits à un même principe (1746). Il trattato parte da Aristotele per riflettere sulla vera finalità di letteratura, musica, architettura e pittura. Ogni esperienza artistica viene commisurata ai concetti di genio e gusto: il primo ha il compito di creare, il secondo di giudicare. Nessuna opera può esistere senza una mediazione tra queste due componenti, che portano l'artista a sfogare la propria libertà espressiva, senza tuttavia superare mai i confini del controllo emotivo. Secondo Batteuxla natura non deve essere riprodotta in maniera servile, ma deve essere addirittura migliorata dall'artista [...].
Occorreva dunque eliminare, stando a queste affermazioni, tutti quegli aspetti della realtà che potevano offendere il gusto del giusto mezz, tipico della cultura francese; perché la natura non deve spaventare o disgustare [...], ma suscitare piacere nel fruitore. Oggetto delle arti non può dunque essere «il vero che è [...] ma il vero che può essere, il bel vero, da rappresentare come se esistesse realmente, e con tutti i perfezionamenti che può ricevere».
Questo vero truccato e ritoccato trovò tante manifestazioni nella produzione musicale del tempo. Naturalmente il terreno più fertile fu il repertorio francese: soprattutto le composizioni per clavicembalo. A Parigi fu subito chiaro quanto l'intento rappresentativo potesse contribuire all'affermazione della scrittura strumentale, da sempre considerata al servizio della danza e della musica vocale.
Questo vero truccato e ritoccato trovò tante manifestazioni nella produzione musicale del tempo. Naturalmente il terreno più fertile fu il repertorio francese: soprattutto le composizioni per clavicembalo. A Parigi fu subito chiaro quanto l'intento rappresentativo potesse contribuire all'affermazione della scrittura strumentale, da sempre considerata al servizio della danza e della musica vocale.
François Couperin mise in pratica queste teorie in quattro raccolte clavicembalistiche [...] nelle quali si riconoscono perfettamente i principi estetici poi sintetizzati da Batteux. La natura è fonte primaria di questi brani, che alludono esplicitamente a immagini visive o sonore: lo stesso compositore precisò i concetto nella prefazione al primo libro, invitando l'ascoltatore a mettere in relazione i titoli all'oggetto dell'ispirazione piuttosto che alla riproduzione clavicembalistica. Couperin in sostanza immaginava la possibilità che il pubblico non rilevasse collegamenti chiari tra i titoli e la scrittura musicale. Ma il suo scrupolo era eccessivo, perché le numerose pagine imitative della raccolta riescono ancora oggi a fotografare in maniera efficace alcuni aspetti del mondo all'aria aperta [...]. Tutte cartoline viventi, che non sconfinano mai dal recinto dell'atmosfera salottiera, confermando la fedeltà assoluta alla nozione francese di gusto, inteso come ricerca della giusta misura. Anche il principio delineato da Batteux in merito alla riproduzione perfezionata della natura trova una concreta maniestazione in queste pagine per clavicembalo, che sfrondano il reale di ogni aspeto repellente o inquietante: nessuna tempesta, nessun animale feroce, nessun evento atmosferico potenzialmente distruttivo. Couperin canta la bellezza del creato, rifiutandosi di riprodurre le forze negative del mondo naturale; e quando lo fa, [...] l'impressione è che [...] siano così forzat[e] da sfiorare la parodia.
Rameau nei suoi brani per clavicembalo composti negli anni Venti del Settecento rimase fedele al principio dell'imitazione naturale [...], aggiungendo un tocco di umorismo alla componente descrittiva: meno abbellimenti decorativi, ma più ricerca nell'identità espressiva delle singole immagini. [...]
Nei paesi tedeschi la componente descrittiva fu meno esplorata che in Francia. Johann Jacob Froberger ad esempio fu più interessato [...] alla musica assoluta, priva di riferimenti programmatici; ma quando questi compaiono, come accade nell'Allemande faite en passant le Rhin, dans une barque en gran péril, quello che noi avvertiamo non è certo il movimento di una barca che attraversa un fiume irritato dalle intemperie, ma piuttosto il compianto per un destino avverso che il compositore espresse in numerosi lamenti funebri.
Anche i clavicembalisti italiani rimasero piuttosto indifferenti alle suggestioni imitative: Domenico Scarlatti [...] e Bernardo Pasquini [...] si interessarono soprattutto alle forme pure, prive di contenuti extramusicali [...]. In questo scenario emerse difatti in maniera anomala la figura di Antonio Vivaldi che invece affidò a una trentina di lavori titoli descrittivi [...]. Non stupisce pertanto il fatto che questa produzione abbia goduto di ampia fortuna in Francia, divenendo spesso oggeto di riduzioni per piccoli gruppi da camera.
(Andrea Malvano, Storia della musica. Dal Settecento all'età contemporanea, Le Monnier Università, pagg. 7-10)
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