mercoledì 4 gennaio 2023

La teoria della musilingua

Jean-Jacques Rousseau [1755] avanzò per primo l'ipotesi che linguaggio e musica fossero in origine tutt'uno, attraverso una comunicazione emotiva di significati semplici. Tale teoria, in seguito scartata, è stata ripresa di recente dall'approccio «olistico» sull'origine della lingua che si contrappone a quello «composizionale». La teoria composizionale, basandosi sull'idea di un'innata grammatica linguistica formulata da Noam Chomsky fin dal 1957, suppone una fase protolinguistica in cui l'uomo, non ancora sapiens, si limitava a 'sonorizzare' oggetti e azioni per introdurre gradualmente i nessi fra i fonemi [Bickerton 1981 e studi successivi]. Al contrario, l'approccio olistico (dal greco olos, 'tutto') immagina un linguaggio originario di sonorità e suggestioni non verbali che corrispondono a pensieri complessi, più in seguito frammentato in singole parole intercambiabili [Wray 2002]. In questa più convincente lettura s'inseriscono gli indirizzi più recenti, come quello di Steven Brown [2000] che conia il termine «musilingua» e il contributo dell'archeologo Steven Mithen [2006] che definisce la fase protolinguistica «olistica, multimodale, manipolativa, musicale e mimetica».

Tali ipotesi sembrano rispecchiarsi nel mito di Babele e della dispersione delle lingue. È possibile che gli antichi ricordassero un tempo in cui si poteva comunicare fra tribù diverse in forma olistica; in seguito la specializzazione del linguaggio, visto come atto di ribellione verso Dio, è stata punita con la parcellizzazione dei modi di comunicare. Il linguaggio più tecnico insomma, certamente più preciso ma evolutosi successivamente in forme diverse, può essere apparso, per il suo portato di astrazione e per essere compreso solo in ambienti risretti, come atto di orgoglio.
(Articolo tratto da Storia della musica - Dalle origini al seicento, di Davide Daolmi, Le Monnier Università)



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